Venti, quindici, cinque minuti
#8 Mappe - Danimarca 🇩🇰: una delle sfide contemporanee consiste nel trasformare i quartieri in 15 Minute City, dove i servizi essenziali sono raggiungibili in pochi minuti. Non solo a Copenaghen.
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Finalmente sono riuscito a non pubblicare una puntata il lunedì. Un po’ perchè avevo troppe idee in vista di questa puntata di Mappe (come sempre) e non sono riuscito a sceglierne una; un po’ per gli impegni; un po’ perchè è capitato. Ma alla fine volevo parlarti di città e sostenibilità, adesso lo facciamo con un giorno di ritardo. Partiamo.
Uno dei grandi paradigmi del mondo contemporaneo riguarda il tentativo di ridurre il più possibile le città e le metropoli alla misura e alle necessità della singola persona. Nel secolo scorso le città si sono moltiplicate e allargate sia in orizzontale che in verticale, alcune sono addirittura nate da zero (Brasilia, la capitale del Brasile), e i servizi interni ad esse sono diventati sempre più innumerevoli.
L’urbanizzazione non si sta di certo fermando, soprattutto nei luoghi che saranno più colpiti dalla demografia crescente dei prossimi decenni: ne abbiamo parlato nel secondo episodio di Mappe sulla Nigeria. Si stanno però moltiplicando i tentativi di rendere sostenibile questo grande orizzonte di allargamento urbano: la necessità è quella di andare a costruire una dimensione urbana che riesca a garantire al cittadino di raggiungere i servizi essenziali nello spazio di pochi minuti. In questi anni, le evidenze le abbiamo ottenute dall’emergenza pandemica, che ha costretto milioni di persone a vivere nello spazio di poche centinaia di metri, e dalle minacce del cambiamento climatico: avvicinare i servizi presenti nelle città al cittadino, andando così a concepire le città come delle piccole sub-unità facenti parte della stessa struttura, aiuterebbe le persone a produrre meno emissioni per spostarsi nella propria quotidianità.
Da queste necessità è nata la teoria della città dei 15 minuti: un progetto che solo ultimamente sta ricevendo le prime applicazioni concrete in alcune delle città occidentali più avanzate, un concetto che affonda, però, le sue radici già negli anni Settanta.
15 Minute City
La cosiddetta “città del quarto d’ora” è un concetto che risponde precisamente a tutte queste motivazioni. Molti dei nuovi modelli urbanistici occidentali si stanno muovendo secondo le direttrici citate in precedenza, cercando di ridurre sempre di più la distanza che si frappone tra un individuo e il servizio di prima o seconda necessità di cui ha bisogno.
Chi ha teorizzato questa necessità è Carlos Moreno, architetto franco-colombiano che è stato tra i primi a tentare di fornire delle risposte concrete in merito alla “riappropriazione” di quartieri, piazze locali, strade e singoli quartieri da parte degli stessi abitanti. Non a caso Carlos Moreno, professore all’Università Sorbona, è stato anche consulente di Anne Hidalgo, attuale sindaco di Parigi, tra le prime città ad adottare quest’idea. Il grande progetto del sindaco, seguendo l’idea di Moreno, prevede per Parigi una grande rivoluzione fino a diventare una città quasi esclusivamente ciclabile, con la presenza di foreste urbane che facilitino da un lato l’assorbimento di Co2 e dall’altro permettano la creazione di aree utilizzabili dai cittadini per rilassarsi, giocare, passare del tempo libero.
Ma si va ancora più in là: se le città che abbiamo ereditato dai primi decenni del Novecento sono per larga parte organizzate in quartieri tematici (la zona industriale, la zona con gli uffici del terzo settore, la zona con una buona presenza di “impronta verde”, quella residenziale e così via), ora la sfida - per parola dello stesso Moreno - consiste nell’eliminare la specializzazione dei singoli quartieri, andando a formare nuove aree dove possano essere presenti tutti i servizi utilizzati ogni giorno da persone di qualsiasi estrazione sociale.
I risultati in materia ambientale e sostenibile sarebbero clamorosi, ma allo stesso modo la realizzazione di questo grande progetto non può prescindere da una radicale trasformazione delle abitudini delle persone: l’impronta otto-novecentesca delle strutture urbane ha facilitato la dimensione individualistica della vita delle persone, e inoltre questa riorganizzazione necessita di una comune volontà politica di ripensare le infrastrutture esistenti.
L’impronta danese: Nordhavn
Se Parigi è stata la culla più “celebre” in cui la teoria e la pratica della “città dei quindici minuti” è stata messa in atto, oggi è l’Europa del Nord l’area dove quest’idea sta trovando la sua applicazione più immediata.
L’Olanda, con Amsterdam, le sue biciclette e i suoi canali verdi in testa, al momento sta sviluppando ben l’80% delle sue città principali secondo l’idea dell’avvicinamento di uffici e servizi a misura del cittadino; e più ancora dell’Olanda, è la Danimarca uno dei Paesi protagonisti della trasformazione degli spazi urbani in “città dei quindici minuti” (precisazione: si parla di quindici minuti per intendere dei servizi disponibili in pochi minuti, non tassativamente quindici).
Se infatti Carlos Moreno è il riconosciuto padre di questa vasta tematica, l’architetto danese Jan Gehl è stato chi ancora prima del franco-colombiano ha iniziato ad affrontare la costruzione dei quartieri delle grandi città su misura del cittadino. Nel 2012, nel libro Vita in città, si è espresso in merito al fatto di dover ripensare le città in funzione dei bisogni del cittadino, ma già da decenni il danese aveva teorizzato come l’avvicinamento dei servizi essenziali alle persone fosse fondamentale per andare a garantire la qualità della vita delle persone.
Così Copenaghen insieme a Parigi, Amsterdam e ai superblocks di Barcellona è oggi una delle città europee più avanzate nello sviluppo di quartieri di “pochi minuti”. Anzi, sembra quasi che si faccia a gara per andare a costruire intere aree urbane in cui i servizi siano il più vicino possibile dai cittadini: per Copenaghen e per il suo quartiere Nordhavn si parla infatti del five-minute neighborhood, un quartiere interamente green e sostenibile dove molti dei servizi per le persone sono disponibili a circa cinque minuti di distanza.
Il quartiere di Nordhavn (copre circa 2 km) è uno degli esempi migliori per capire l’essenza e il potenziale della teoria: il suo design è studiato da circa un decennio e ha sviluppato una zona altamente residenziale, dove sedi istituzionali, negozi, luoghi di lavoro e di svago sono disponibili in pochi minuti a piedi. Anche tante altre innovazioni interne a Nordhavn sono nel nome della sostenibilità: un magazzino di dati energetici, un supermercato che cattura il calore di scarto dai sistemi di raffreddamento e tanto altro.
Un modello a emissioni zero come quello del quartiere di Copenaghen è l’esempio di tre cose: della necessità che sia la politica la prima fonte da cui scaturisca un progetto di forte cambiamento urbano e infrastrutturale; dei benefici ambientali che può portare l’adozione di few-minute neighborhoods (le città di tutto il mondo producono circa il 70% delle emissioni di anidride carbonica) e dei vantaggi in termini di comodità e abitudini che può rappresentare per i cittadini.
In mezzo al protagonismo di Parigi e alla grande celerità con cui hanno reagito le città del Nord all’idea delle “città dei quindici minuti”, anche l’Italia sta provando a inseguire. Ad esempio ci sono aziende che si stanno focalizzando sul tema della sostenibilità urbana come Enel X, che da tempo ha messo a disposizione delle istituzioni il 15 Minutes City Index: un indicatore di pianificazione urbana che permette di valutare in maniera concreta l’idea di concepire questo tipo di quartieri grazie all’analisi degli Open Data.
E poi ci sono le stesse città: Genova si sta ripianificando secondo il concetto della “città dei 2 km” come l’ha definita Simonetta Cenci, assessore all’Urbanistica della città, con al centro la mobilità elettrica; Milano sta avanzando enormemente nella costruzione di aree ciclabili e ha raccolto il guanto di sfida tentando di trasformarsi in una realtà policentrica, con la riqualificazione e il ripensamento di intere aree soprattutto nel nord della città. Tra Italia (meno) e il resto dell’Europa (di più), l’idea della 15 Minute City si sta radicando sempre di più.
Chiudo con un estratto dal TedTalk dello stesso Carlos Moreno:
“Accettiamo che le città deformino il nostro senso del tempo: dobbiamo sprecarne così tanto solo per adattarci all’assurda organizzazione e alle lunghe distanze della maggior parte delle città odierne. Ma perché siamo noi a doverci adattare, abbassando la nostra potenziale qualità di vita? Perché invece non è la città a rispondere ai nostri bisogni? Perché abbiamo lasciato che le città si sviluppassero così a lungo nella direzione sbagliata?”
E per finire
La foto più aesthetically pleasing vista di recente:
Da leggere: la newsletter Retroterra, interessanti flussi di coscienza sui più disparati temi contemporanei a cura di Andrea Pracucci.
Il podcast da non perdere: se non vi ho convinto, c’è una persona leggermente più preparata di me sull’ambito che parla della città dei 15 minuti. Questa persona è Stefano Boeri, e il podcast di Will parla degli sviluppi e delle caratteristiche delle città nel prossimo futuro:
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