Cambio nome cambio casa
#7 Mappe - Macedonia del Nord 🇲🇰: un nome che esiste solo da tre anni, dopo contenziosi decennali. Una storia che si mischia a conflitti territoriali e veti anacronistici interni all'UE.
Ciao, buon lunedì!
Ecco una nuova puntata di Mappe: una newsletter che parla di culture, storie e persone un Paese alla volta, e che oggi proprio non poteva esimersi dal parlare della Macedonia del Nord: se non ora quando?
Giovedì scorso la Macedonia del Nord ha sconfitto la Nazionale Italiana di calcio, non permettendole di qualificarsi per la seconda volta di fila ai Mondiali, che quest’anno si terranno in maniera alquanto discutibile in Qatar. L’enorme tragedia sportiva che accompagna la sconfitta è motivata anche dalla poco rilevante dimensione calcistica della nazionale macedone: al 62mo posto del ranking FIFA, la Macedonia non si è mai qualificata per un Mondiale e domani sera avrà la ghiottissima opportunità di battere un’altra big storica del calcio mondiale come il Portogallo, per volare in Qatar.
Insomma, oggi voglio parlarti della Macedonia del Nord.
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Cambiare nome all’anagrafe
La disputa sul nome della Macedonia del Nord nasce nel 1991, in seguito al raggiungimento dell’indipendenza dalla Jugoslavia. La Macedonia non è solo lo Stato che oggi ha Skopje come capitale: il termine designa anche una regione storica appartenente al territorio greco, e di conseguenza il popolo greco non ha mai accettato che lo stesso nome andasse anche a definire uno Stato sovrano straniero.
Nel 1993 dovette subito intervenire l’ONU, riconoscendo il neo-nato Stato con il nome ‘Repubblica ex Jugoslava di Macedonia’. Tutti d’accordo? No, come spesso capita nel momento in cui centinaia di Stati devono andare a concordare sull’effettività sovranità di uno Stato e sulle sue caratteristiche: in 118 seguirono tassativamente la risoluzione dell’ONU, mentre altri optarono per riconoscimenti maggiormente in conflitto con il volere greco come ‘Repubblica di Macedonia’ o ‘Macedonia’.
La questione nella realtà non si è mai risolta, nel corso di tutti questi anni: da un lato il governo greco ha sempre rifiutato di accettare la dicitura ‘Macedonia’ nella sua forma semplice - così come fatto in uno dei tentativi proposti dal rappresentante speciale ONU per la Macedonia, Matthey Nimetz, nel 2005 -, dall’altro il governo macedone ha sempre declinato qualsiasi proposta di modificare il titolo scelto nel 1991.
Il nome ‘Macedonia’ è tornato alla ribalta nel 2018, quando finalmente il premier macedone Zoran Zaev e quello greco Alexis Tsipras hanno trovato un accordo, modificando la dicitura del Paese: ‘Repubblica della Macedonia del Nord’. Tutti contenti: si conserva il termine ‘Macedonia’, ma la Grecia ottiene una sorta di nota distintiva nei confronti della propria regione. Nella recente storia macedone il raggiungimento dell’accordo era fondamentale, dal momento che da ormai diversi anni la Macedonia aveva pubblicamente manifestato la propria intenzione di aderire alla NATO e all’Unione Europea: la Grecia si era però dimostrata ostile rispetto all’ingresso dei vicini di casa soprattutto in virtù della disputa sul nome, ostacolando l’entrata nella NATO nel 2008 e violando così un mutuo accordo siglato tra i due Stati nel 1995, riguardante proprio l’iter di ingresso dello Stato macedone nelle due organizzazioni sovra-nazionali.
L’ufficializzazione del nome, come da accordi, avrebbe dovuto essere preceduta da un referendum popolare in Macedonia. Tenutosi il 30 settembre del 2018, il referendum venne indetto proprio per porre fine alle decennali dispute diplomatiche e ufficializzare il passaggio da ‘Repubblica di Macedonia’ a ‘Repubblica di Macedonia del Nord’. Alle urne si recò soltanto il 37% dei macedoni, non raggiungendo il quorum del 50%: a salvare la faccia all’accordo fu proprio l’esito non vincolante del referendum, che non potè ostacolare il procedimento che ha certificato il nome con cui oggi conosciamo la Macedonia del Nord, ma fu utile per evidenziare il pensiero della popolazione (infatti Hristijan Mickoski, leader opposto al premier macedone, chiese le dimissioni di Zaev in seguito al fallimento referendario).
Il 12 febbraio 2019 è il giorno in cui è ufficialmente entrato in vigore l’accordo di Prespa tra Grecia e Macedonia del Nord.
Entrare nell’Unione Europea
Oggi la Macedonia è ufficialmente parte della NATO, ma non ancora dell’Unione Europea.
In queste settimane si sta parlando profondamente dell’UE e delle dinamiche che comportano l’ammissione di un Paese fuori dall’organizzazione: il percorso legislativo è complicato, dipende da tutti i Paesi che compongono l’Unione e va a influire non solo sulla composizione dell’UE ma anche altri organismi legati alla stessa, come la Comunità Europea (CE). Al momento sono cinque gli Stati che da anni hanno presentato la domanda e sono ufficialmente candidati a entrare nell’Unione Europea, e ben quattro di questi appartengono all’area balcanica: Macedonia del Nord, Montenegro, Albania e Serbia. In quest’area, la possibile entrata nell’UE si lega inevitabilmente a una delle principali rotte con cui centinaia di migliaia di immigrati si dirigono verso i Paesi facenti parte dell’Unione: la rotta balcanica. In futuro probabilmente analizzeremo in maniera approfondita le sue peculiarità e la sua gestione, quando parleremo di Croazia e Bosnia-Erzegovina.
L’attesa ‘europea’ della capitale macedone Skopje è la più lunga tra i Paesi candidati a entrare in UE: la Macedonia si è infatti candidata a entrare nell’Unione Europea addirittura nel 2004 e in tutti questi anni i membri europei non sono riusciti a trovare un accordo, nonostante la Macedonia del Nord sia in possesso delle caratteristiche necessarie per aderire all’UE: è uno Stato europeo, rispetta i principi di libertà, democrazia e Stato di diritto, ed è conforme alle condizioni economiche richieste.
Il conflitto con la Grecia ha di certo ampliato le tempistiche, ma l’iniziale veto greco nei confronti di un ingresso nella NATO e nell’UE non è stata l’unica difficoltà che ha dovuto affrontare la Macedonia. Dopo il cambio del nome, l’iter di ingresso della Macedonia del Nord ha incontrato la resistenza della Francia di Macron, che nel 2019 ha ritardato l’inizio delle trattative per non fornire ulteriori argomenti al programma propagandistico di Marine Le Pen, presidente del Rassemblement National e più volte scagliatasi contro l’allargamento a est dell’UE, simbolo di un pericolo di islamizzazione e maggior immigrazione nello spazio condiviso.
Successivamente è stata la vicina Bulgaria a bloccare nuovamente i negoziati e a porre i bastoni tra le ruote al premier socialista macedone Zaev, che fin dal primo giorno al potere ha fortemente concentrato la sua agenda politica sull’accordo con la Grecia e, di conseguenza, sull’entrata in UE. Il 17 novembre 2020 la Bulgaria ha infatti esercitato il suo diritto di veto nel Consiglio dell’UE (detiene il potere legislativo della stessa), bloccando l’avvio dei negoziati. La motivazione è prettamente nazionalista e identitaria: il governo bulgaro ha contestato la validità storica dell’identità macedone, affermando come la lingua macedone non fosse altro che un dialetto bulgaro e non ammettendo le minoranze macedoni nel proprio territorio.
Nonostante Sofia, la capitale bulgara, si era impegnata nel 2017 a non ostacolare i negoziati di adesione all’UE, questo episodio ha ulteriormente dilatato le tempistiche: oggi l’entrata nell’Unione Europea continua a essere uno dei principali obiettivi politici del governo macedone, ma a diciotto anni dalla candidatura ufficiale i veri e propri negoziati non si sono ancora sviluppati.
Veti
Il lungo elenco di contenziosi tra Macedonia, Bulgaria e Grecia si mischiano alle tante tensioni sociali tuttora presenti nell’area jugoslava: dal conflitto tra Serbia e Kosovo al delicato tema dei profughi tra Croazia e Bosnia-Erzegovina, le tensioni nell’area balcanica sono ‘dormienti’ ma allo stesso tempo numerose e mai troppo sopite.
Ma l’interminabile iter che sta attraversando la Macedonia del Nord ci mostra anche un’altra cosa. L’ultimo sgarbo bulgaro evidenzia un grosso problema interno all’interno dell’Unione Europea: le decisioni fondamentali da prendere in seno alle principali istituzioni dell’Unione Europea possono infatti essere ostacolate con il semplice veto da parte di uno dei 27 Paesi membri, in particolar modo in due ambiti cruciali: la politica estera e quella finanziaria.
Nel corso degli anni e con il graduale allargamento dell’UE, le entità politiche che la compongono si sono fatte sempre più multiformi e variegate. Dal socialismo del Portogallo all’autoritarismo ungherese di Viktor Orban, da uno scenario in costante mutamento come quello italiano ad Angela Merkel che ha ricoperto il ruolo di Cancelliere federale della Germania per sedici anni consecutivi: come può bastare un solo voto per non permettere agli altri 26 Paesi di ratificare degli accordi di natura politica, economica o sociale?
È evidente come si debbano fare passi avanti per eliminare una soluzione di fatto anacronistica e che rischia di paralizzare decisioni di massima urgenza e importanza. Ad esempio, il legame tra Putin e Orban pare abbia paralizzato un possibile accordo europeo sul blocco delle importazioni di gas russo, con il semplice diritto di veto esercitato dall’Ungheria; oppure soltanto pochi mesi fa il Ministro della Giustizia polacco Zbigniew Ziobro aveva minacciato di porre il veto in tutti i settori in cui verrà richiesta l’unanimità, in seguito a uno scontro con la Commissione Europea sulla nozione di “Stato di diritto”, che aveva coinvolto anche l’Ungheria.
Minacce e scenari che rischiano concretamente di immobilizzare attività e decisioni di grande portata: la regola del voto unificato è problematica e può essere sfruttata da singoli Stati membri per ricattare l’Unione Europea, o singoli Paesi con posizioni e ideologie ‘lontane’, in totale facilità. Anche per questo, per ora, la Macedonia del Nord è riuscita a cambiare nome, ma non ancora la propria casa.
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E per finire
La foto più aesthetically pleasing vista di recente:
La newsletter da leggere: l’ho scoperta da poco, Poletichette di Salvatore Tancovi. Una crasi tra politica e polemichette.
Il podcast da non perdere: la firma è ancora di Chora Media, e in questo caso è un prodotto utilissimo per capire meglio alcune delle cause collaterali della situazione che viviamo da un mese. Vladimir Putin riassunto in meno di un’ora:
Siamo riusciti a parlare di Macedonia del Nord senza nominare Alessandro Magno: incredibile. Grazie e a presto!