Oltre il ciclismo
#62 Mappe - Slovenia 🇸🇮: il basket con Luka Doncic, il calcio, lo sci. E poi il ciclismo: Tadej Pogacar ha appena dominato il Giro d'Italia.
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Questa è la 62esima puntata: nella smorfia napoletana il numero è associato a ‘O muorto acciso, il morto ammazzato. Benaugurante.
Potrei averla citata in qualsiasi puntata che abbia strizzato l’occhio allo sport, e che puoi ritrovare in archivio. La Slovenia e la sua eccellenza nel mondo dello sport: in relazione ai suoi abitanti - poco più di 2 milioni - è sbalorditivo vedere quanti campioni abbia sfornato questo Paese.
E visto che per motivi lavorativi ho seguito ogni istante del Giro d’Italia che si è appena concluso, non potevamo celebrare la vittoria dominante di Tadej Pogacar senza parlare di 🇸🇮 e delle sue eccellenze.
NBA time
Possiamo affermarlo con certezza: non esistono Paesi che, con un numero di abitanti simile a quello sloveno, abbiano sfornato una batteria di fenomeni sportivi come quella del Paese ex-jugoslavo.
E visto che non c’è solo Tadej Pogacar, probabilmente anche Luka Doncic ha sentito l’odore di una nuova puntata di Mappe: pochi giorni fa, si è permesso di decidere con questa tripla la seconda sfida delle Finals di Western Conference tra i suoi Dallas Mavericks e i Minnesota Timberwolves.
Già, Luka Doncic. Per tutti Luka e basta. Il miglior talento cestistico che ha prodotto l’Europa nell’ultimo decennio, almeno prima che atterrasse sulla Terra l’alieno Victor Wembanyama.
Stiamo vivendo in quella linea temporale in cui, dopo gli anni di Michael Jordan, Kobe Bryant, Steph Curry, Kevin Durant e gli ultimi echi di LeBron James, l’interesse mondiale per l’NBA - la lega di basket americana - è principalmente sulle spalle di tre europei. Il serbo Nikola Jokic - a conferma dell’eccellenza slava nel basket -, il greco Giannis Antetokoumpo e proprio Luka Doncic.
Cresciuto nel Real Madrid e passato a Dallas nel 2018, a soltanto 19 anni: Doncic è probabilmente il fenomeno più amato dai teenager appassionati di basket, e quest’anno sta finalmente cercando di trascinare i Mavs alla vittoria di un titolo NBA che manca dal 2011.
A soli 25 anni, Doncic ha già preso parte per cinque volte di fila all’All-Star Game NBA: a dispetto di una vittoria del cosiddetto Anello che ancora deve arrivare, si è ormai consacrato tra le stelle più brillanti del panorama cestistico mondiale, ed è già considerato uno degli europei più forti di tutti i tempi. Dici poco.
Gli altri sport
Luka non è una stella sporadica. Non lo è nel basket, dove la Slovenia ha avuto nel corso degli anni anche i fratelli Goran Dragic - nominato Most Improved Player dell’NBA nel 2014 - e Zoran Dragic.
E non lo è nemmeno in tante altre discipline sportive. Partendo dal calcio, mi bastano pochissimi secondi per nominare Samir Handanovic - che ha difeso la porta dell’Inter, con fortune alterne, per quasi un decennio - e Jan Oblak, portiere dell’Atletico Madrid dal 2014. Con due soli milioni di persone, la Slovenia si è regalata due dei portieri più forti degli ultimi dieci anni.
Rimanendo nel calcio, pur non conquistando risultati memorabili con la Nazionale, ci sono tanti talenti che hanno calcato i massimi palcoscenici europei e quello della Serie A: su tutti Josip Ilicic con l’Atalanta e Benjamin Sesko, uno degli attaccanti più promettenti in tutta Europa.
Ma c’è tanto altro: Tina Maze, per esempio, è stata una delle migliori sciatrici del ventunesimo secolo, diventando anche campionessa olimpica di discesa libera e slalom gigante a Sochi 2014.
In questo articolo si parla di Slovenia come di un Paese che ha un pensiero strategico attorno allo sport. C’è un sistema che aiuta la proliferazione di talenti, che diventano poi delle vere e proprie eccellenze nei tanti ambiti sportivi.
Tadej Pogacar
Vado matto per quei campioni che trascendono, vanno oltre il proprio sport. Con le dovute proporzioni, l’hanno fatto perfettamente Rafael Nadal e Roger Federer nel tennis, arrivando a essere delle icone senza tempo e senza sede.
Ma nel ciclismo è estremamente più difficile: una nicchia meno pop, uno sport meno accessibile, dai cui confini è uscito soltanto Marco Pantani in Italia e pochi altri in giro per il mondo nel corso degli ultimi decenni.
Ecco, è quello che da qualche anno sta provando a fare - con discreto successo - Tadej Pogacar. Insieme a Mathieu Van Der Poel, il corridore sloveno si sta iscrivendo all’albo dei corridori più forti della storia del ciclismo.
Ha soltanto 25 anni, e sta dunque entrando nel pieno della propria maturità sportiva. Ha già nel proprio portafoglio due Tour de France, un Giro delle Fiandre, due Liegi-Bastogne-Liegi. Ha appena conquistato il suo primo Giro d’Italia con 09’ 56’’ di vantaggio sul secondo classificato - un’enormità - e quest’anno punta a realizzare l’accoppiata Giro-Tour de France. Un qualcosa che appartiene solo ai grandissimi di questo sport.
Ma, come detto, Pogacar sta anche andando oltre. Sarà la giovane età, la simpatia innata o l’amore per lo sport, Tadej si sta rapidamente riciclando come icona ed esempio sportivo in senso molto più ampio del “solo ciclismo”. Per spiegarlo, basta risalire a due istanti della penultima tappa del Giro d’Italia.
Dopo l’ennesimo scatto in salita con cui stacca gli avversari, sul Monte Grappa, raggiunge Giulio Pellizzari - classe 2003, il più giovane del gruppo a cui Pogacar già aveva regalato una sua maglia rosa nei giorni precedenti - e gli fa un commovente cenno come a dire “dai, andiamo insieme!”. Per un esordiente, un attestato di stima che potrebbe non essere mai superato nella sua carriera.
Per non farsi mancare nulla, pochi minuti dopo regala una borraccia a un bambino che la reclamava a bordo strada. Un momento rarissimo, e che rende onore alla grandezza di un campione che ha reso trionfale la sua cavalcata lungo l’Italia, vincendo ben sei tappe su ventuno.
Da vicino
C’è di più: un campione che va oltre i confini del ciclismo, ma anche un’atleta che con la sua polivalenza sta dando una forte impronta a uno sport da sempre giardino di “specialisti” su ogni tipo di strada o pendenza.
E, per descrivere meglio quell’alieno che è Pogacar, c’è chi segue il ciclismo meglio e molto più di me. Ho fatto tre domande ai tre ospiti della puntata odierna: Gianluca Losito, giornalista de Il Foglio; Carlo Filippo Vardelli, giornalista di Eurosport; Michele Pelacci, autore per L’Ultimo Uomo e il magazine Alvento. A loro la parola.
Tra le tappe vinte in questo Giro, in cosa e dove è stato più impressionante Pogacar?
M.P: Mi ha stupito per la chirurgia con la quale ha racchiuso in due lassi di tempo tutto sommato brevi (gli attacchi su Foscagno e Grappa) il dominio totale degli avversari. Tanto era superiore che gli è bastato meno show.
C.F.V: La tappa più impressionante è stata la 16. Sulla salita finale sembrava un padre che gioca con i bambini, in quella giornata non voleva nemmeno vincere. Non ha fatto un attacco brutale e non si è mai alzato sui pedali, sembrava avesse il motorino.
G.L: La grande prova di forza è stata nella cronometro, vinta contro Ganna e tanti altri specialisti. Nelle salite lo aspettavamo tutti, ed è stato dominante.
Cosa ha portato di nuovo nel ciclismo moderno?
M.P: Probabilmente nel ciclismo moderno ha portato questo: l’essere allo stato dell’arte qualunque cosa, ma abbinando a ciò uno spirito infantile innato e una deliziosa capacità di farsi amare.
C.F.V: Lui è cresciuto in un Paese con pochissima cultura ciclistica. Quindi si è sviluppato senza sovrastrutture, senza pesi della tradizione che si ritrovano in Italia o Belgio. Continua a dimostrare la sua grandissima libertà, oltre ad aver “abbattuto” un Muro di Berlino: con lui la specializzazione non esiste più, vincendo le Grandi Classiche come il Fiandre e due volte il Tour de France.
G.L: Non da solo, ma insieme a Evenepoel, Van Der Poel, Van Aert e Vingegaard ha riportato la volontà strategica di attaccare da lontano, concentrando lo sforzo nella prima parte della gara. Anche lui, inoltre, è un all-rounder a tutti gli effetti: è competitivo su tutti i terreni. Ha reso pop il ciclismo.
Con o senza doppietta Giro-Tour, è già ora tra i ciclisti più forti di sempre?
M.P: Assolutamente sì. Pogacar vince - lo dicono i numeri - un giorno di corsa su tre. E sono tutte corse del livello più alto possibile. Già ora, a 25 anni, ha un palmares migliore di grandi del passato come Pantani, Rominger, forse già pure Nibali. Nessuno come lui è il favorito di ogni corsa a cui partecipa.
C.F.V: Lui, insieme a Van Der Poel, ha rinfrescato uno sport che per anni era descritto come noioso. Non è tanto il palmarès, quanto quello che sta lasciando: se smettesse domani, sarebbe già tra i migliori di sempre. Ha cambiato il modo di pensare il ciclismo, ha attirato al movimento sempre più persone.
G.L: Sì, ha nel palmarès corse di un giorno, di una settimana, due Tour de France e ora il Giro d’Italia. La doppietta Giro-Tour rappresenterebbe una pietra miliare per la sua ascensione all’Olimpo ciclistico, e a quel punto gli resterebbero altri due traguardi. La Tripla Corona in carriera (la vittoria di Giro, Tour e Vuelta) e la Tripla Corona da unire alle cinque classiche Monumento (Fiandre, Liegi-Bastogne-Liegi, Parigi-Roubaix, Milano-Sanremo e Giro di Lombardia).
Bene, ora ricomincia la puntata da capo. Da Pogacar all’indietro, conta tutti i nomi che ti ho citato. Pazzesco, no?
🇸🇮🇸🇮🇸🇮
E per finire
La foto più aesthetically pleasing vista di recente:
Alcuni articoli letti negli ultimi giorni: Il ritorno del film e del cinema dopo gli anni delle serie tv su Rivista Studio; una campagna elettorale senza liti tra le opposizioni su Linkiesta; Divina Commedia e istruzione su Il Post.
La newsletter da scoprire: Questioni d’orecchio di Andrea F. de Cesco parla della giungla dei videopodcast. Ormai il mio sottogenere preferito.
Il podcast da ascoltare mentre sei in coda: Gironimo, il podcast del magazine Alvento che ha accompagnato il Giro d’Italia.
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Due milioni di abitanti... Meno popolata di Roma. A volte mettere le cose in prospettiva ti dà un quadro completamente diverso. Bellissima newsletter, come sempre.