No, non è come le altre estati
#38 Mappe - Grecia 🇬🇷: gli incendi in Grecia, quelli in Sicilia e la grandine a Milano. Pedine diverse della stessa scacchiera: quella del cambiamento climatico. No, non è come le altre estati.
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La grandinata senza precedenti a Milano, gli incendi in Sicilia e in Grecia, le temperature con picchi mai registrati in Sardegna, Tunisia, Algeria. La regione del Mediterraneo è alle prese da qualche settimana con una situazione meteorologica non comune: no, non è soltanto il cambiamento climatico ma allo stesso tempo sì, c’entra anche - e molto - la crisi climatica.
Il cambiamento climatico esiste, è una realtà confermata dai dati e non riguarda più il nostro futuro, ma sta già modificando notevolmente il nostro presente. Ogni giorno che passa è un giorno in meno che abbiamo - io, te, le imprese, i governi, gli enti extra-governativi - per limitare i danni, prima che il cambiamento climatico renda sempre più drammatiche le condizioni di vita di milioni di persone, nei prossimi anni.
Partendo dalla difficile situazione ambientale della Grecia, per questa puntata mi sono fatto aiutare da Nicolas Lozito: giornalista de La Stampa e curatore de Il colore verde, newsletter proprio sulla crisi climatica e l’ambiente. Partiamo!
La Grecia brucia
Degli avvenimenti climatici delle ultime settimane e mesi già eravamo avvertiti, almeno da qualche anno: già il 2022 è stato l’anno con la seconda peggior stagione di incendi in Unione Europea, e molti di questi avevano interessato la Grecia.
Anche quest’anno la situazione nella penisola del Peloponneso non è dissimile: in queste settimane la superficie bruciata in Grecia è fino a 5 volte superiore al valore medio registrato tra il 2006 e il 2022, e sono coinvolte soprattutto le isole di Corfù e Rodi, da dove sono state evacuate ben 19mila persone.
La portata di questi eventi si capisce in maniera piuttosto concreta andando a osservare i dati, i numeri di alberi, terreni andati in fumo. Me ne sono reso conto passeggiando negli scorsi giorni a Milano, vedendo interi viali cosparsi di tronchi spezzati a terra, che hanno portato alla sospensione di diverse linee di tram e bus. Ce ne si accorge anche se leggiamo alcuni numeri della Grecia: al momento sono andati in fumo 50mila ulivi, e sono morti 2.500 animali.
Hotspot climatico
La Grecia non è da sola, anzi: va inserita nel contesto a cui appartiene, quello del Mediterraneo, un’area che da diversi anni - come mi spiega Nicolas Lozito - viene definita un hotspot climatico, un’area in cui gli effetti del cambiamento climatico sono più accentuati.
Parto da un’immagine: è come se stessimo spostando la Terra in giù, e l’Italia e l’intera area mediterranea sono più vicine all’equatore di un tempo. Gli incendi da una parte, i violenti temporali e le grandinate dall’altra sono punti della stessa mappa, pedine che prevedono mosse differenti ma che appartengono alla stessa scacchiera.
L’intero Mediterraneo è un cosiddetto hotspot climatico, un luogo dove la temperatura cresce più velocemente della media globale, per la forza del mare e per la particolare geografia dei territori che accomunano l’area. Qui ogni singolo evento estremo sta diventando più frequente, e di portata maggiore.
Come mi spiega bene Nicolas, è sbagliata qualsiasi zona di estremismo nel momento in cui andiamo a parlare di questi fenomeni. Il cambiamento climatico c’entra ma non è la sola causa dell’inasprimento meterologico in atto: ci sono una serie di motivazioni contingenti, tra cui certamente rientra la crisi climatica, che stanno producendo gli eventi a cui abbiamo assistito nelle scorse settimane.
Il cambio climatico rende certamente tutto più estremo: un aumento delle temperature così repentino si traduce in una vegetazione più secca, in venti più forti, nell’acqua marina e fluviale che evapora più velocemente e produce una maggior quantità e frequenza di perturbazioni.
A questo si aggiungono altri fenomeni contingenti e di ciclicità, come quest’anno quello di El Niño, un fenomeno atmosferico che periodicamente, ogni circa 5-7 anni, riscalda le acque dell’Oceano Pacifico. L’atmosfera, in generale, ha meccanismi molto complessi da leggere, e sicuramente il cambiamento climatico è uno dei più complessi, pur non essendo l’unico sul banco degli imputati.
Nelle ultime settimane, in Grecia si sono sviluppati circa 60 incendi al giorno, e in Italia le divergenze climatiche sono state ben evidenti, tra Lombardia e Sicilia. Ma l’area mediterranea non si ferma qui: anche la Tunisia è colpita in queste settimane da un caldo eccezionale, con picchi di 50°C di giorno; in Algeria 34 persone sono state uccise da incendi boschivi; nelle isole Canarie sono bruciati più di 4.500 ettari di terreni soltanto la scorsa settimana.
Non è necessariamente la nuova normalità a cui dobbiamo abituarci, ma ci fornisce degli squarci su quello che sarà il futuro. E il futuro sarà peggiore, con alternanze meteorologiche sempre più violente e frequenti.
Politica, attivismo, informazione
Questa nuova realtà è sempre più concreta, e non può che portare a interrogarci su quella che deve essere la responsabilità del singolo di fronte al cambiamento climatico, ma anche quella di attivismo, politica e informazione. Fuoriuscendo dal contesto greco per abbracciare la crisi climatica in senso più ampio, ho chiesto a Nicolas di spiegarmi meglio come questi tre elementi si stanno ponendo di fronte a questa crisi.
In che punto della traiettoria si trova oggi l’attivismo climatico?
L’attivismo odierno è soltanto una tappa di un lungo percorso, che per ora ha trovato l’apice del suo successo nella figura di Greta Thunberg e nei movimenti di Fridays For Future. Oggi, e in generale dopo la pandemia, il movimento FFF ha perso la sua forza rivoluzionaria, e la conseguenza principale è stata una dirompenza sempre più incattività dei “nuovi” attivisti, dopo aver preso la consapevolezza che il cambiamento climatico non impatterà soltanto sul nostro futuro, ma già sul presente. Durante i primi mesi di pandemia, Fridays For Future aveva addirittura incontrato in maniera ufficiale l’allora premier Giuseppe Conte, mentre oggi i nuovi movimenti mancano di quella leadership.
La radicalizzazione che vediamo oggi credo sia una tappa necessaria, nonostante una tattica discutibile: blocchi stradali e danni ai quadri presuppongono un problema comunicativo, pongono gli attivisti non come eroi ma come antagonisti, seppur l’antagonismo sia probabilmente necessario nella comunicazione di un messaggio: per legittimare soluzioni moderate, c’è bisogno anche dell’anima radicale. Tanto è necessario mostrare la faccia cattiva quanto è fondamentale che questo nuovo, giovane e grezzo attivismo passi a una tappa successiva.
La legittima rabbia e frustrazione dei movimenti attuali - che tra di loro sono anche decisamente solidali - ha bisogno di un ulteriore step, di una nuova leadership tramite cui poter dialogare con governi e altri enti: non una figura che sia un “grigio politico”, ma nemmeno il più aspro degli attivisti.
Come si pone invece la politica italiana su questo fronte? Potremmo vedere in Italia un’ascesa simile a quella dei Verdi in Germania?
In Italia c’è sempre più interesse per le cosiddette cose verdi, ma manca da anni - anzi, da sempre - un motore che trasformi questo interesse in un’istanza politica concreta e collettiva. Come nelle ultime elezioni, dove l’Alleanza Verdi e Sinistra ha preso il 3,5%, nonostante tra gli intervistati di quei giorni emergesse sempre più concretamente l’esigenza di misure contro il cambiamento climatico.
Dalla dimensione domestica, singolare, manca qualcosa che si traduca in battaglia di sistema, economica, geopolitica. In altri Paesi europei - come la Germania - questa necessità si è già trasformata in istanza politica, mentre qui in Italia viene ancora utilizzata come jolly; Elly Schlein utilizza il tema ambientale a propria convenienza, il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin trasmette dubbi e rallenta il dibattito, soprattutto per convenienza politica.
Manca insomma anche a livello politico italiano una leadership forte, e nemmeno a livello locale questa ondata verde si è politicizzata: non vengono organizzati comizi locali o singole iniziative per affrontare il tema ambientale.
Per chiudere: qual è invece lo stato dell’informazione sul clima?
Le redazioni si stanno svecchiando, e dunque è inevitabile che il paradigma stia cambiando rispetto ad anni fa: la questione climatica era analizzata in maniera duplice, intervistando da un lato un climatologo, dall’altro uno scienziato che esprimeva un’opinione contraria. Questo metodo è corretto ad esempio in politica, ma non nel giornalismo ambientale.
Oggi tutto questo si sta superando, soprattutto grazie alla consapevolezza dei nuovi giovani, direttamente interessati dalla crisi climatica.
Nonostante ciò, buona parte della stampa continua a difendere posizioni tendenti al negazionismo, per interessi di rappresentanza politica ed economica. Il Guardian, quotidiano britannico, è editorialmente indipendente e può quindi permettersi di affrontare il tema senza filtri o interessi secondari: in Italia quasi tutti i giornali sono posseduti da gruppi editoriali che al loro interno annoverano anche altre aziende e industrie, e questo atteggiamento è decisamente più complicato. I giornali italiani avrebbero bisogno di linee guida più decise e limitanti, contro la pubblicità di aziende produttrici di combustibili fossili, contro articoli spinti verso una determinata narrazione.
In ogni caso, la copertura della crisi climatica è più attenta, su tutti i giornali nazionali. E tutti si devono comunque scontrare con un problema insito nell’affrontare questo argomento: il cambiamento climatico non fa notizia ogni giorno, non produce quotidianamente elementi notiziabili e interessanti per il lettore. Spesso fa notizia in concomitanza di alcuni report, o alcuni record di temperatura, ma su questo si sta quasi già creando un effetto di saturazione.
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E per finire
La foto più aesthetically pleasing vista di recente:
Alcuni link utili letti negli ultimi giorni: i colpi di stato nell’Africa centro-occidentale, come parliamo della crisi climatica, un articolo sullo sport nazionale finlandese: il pesäpallo.
Il podcast da non perdere: Tredici, un nuovo podcast del Post sulla strage nelle carceri italiane a marzo 2020, a cura di Luigi Mastrodonato.
Grazie e a presto!