Scacco matto
#22 Mappe - Islanda 🇮🇸: 50 anni dopo la partita del secolo tra Fischer e Spassky, l'Islanda continua a essere la patria degli scacchi. E di Bobby.
Ciao! Buona domenica con la ventiduesima puntata di Mappe, la newsletter che ogni due settimane prova a parlarti di storie, culture e persone in giro per il mondo. Un Paese alla volta.
Mi confesso: da circa due anni vado matto per gli scacchi. Rimane ancora una passione a targhe alterne, di quelle che ti portano a passare delle ore intere a concentrarti sullo sviluppo del gioco, a leggere libri incentrati proprio sugli scacchi - proprio di recente ho letto La variante di Luneburg di Paolo Maurensig - ma non ti spingono a studiare e fare quel salto da giocatore “della domenica” a navigato.
In ogni caso, per ora tutto questo basta e avanza: gli scacchi sono stati una scoperta meravigliosa, avvenuta grazie alla celebre serie tv La Regina degli Scacchi. Prima non conoscevo il funzionamento del gioco, poi la serie lanciata da Netflix nel 2020 mi ha aperto un mondo - non solo a me, visto che nei mesi successivi sono spropositatamente aumentati gli accessi a diverse piattaforme di gioco online -.
Gli scacchi sono straordinari non solo se intesi come gioco o passatempo, ma anche per tutta la tradizione e la cultura che si portano appresso: è un gioco di strategia nato in India nel VI secolo d.C e che da qualche decennio ha trovato una casa salda, sicura e piuttosto inaspettata. L’Islanda 🇮🇸.
Per parlare di Islanda e scacchi mi sono fatto aiutare da un nuovo ospite di Mappe: Leonardo Piccione, che vive in Islanda da diversi anni e che proprio su questo tema ha scritto un’interessantissimo articolo che ti lascio qui.
Il match del secolo
C’è un momento che segna in maniera indiscutibile la comparsa dell’Islanda sulla mappa mondiale degli scacchi: è l’11 luglio 1972, e a Reykjavik si apre il match del secolo.
I due sfidanti sono Bobby Fischer, statunitense, e Boris Spasskij, russo. Se pensiamo al periodo storico, si capisce subito come la sfida sia carica di significato anche a livello politico: stiamo parlando di due dei migliori giocatori della storia del gioco, ma anche di un periodo in cui gli echi della Guerra Fredda sono ancora piuttosto vivi - la crisi dei missili di Cuba si era chiusa solo dieci anni prima - e in cui tutti i match del campionato del mondo di scacchi dal Dopoguerra in poi sono stati disputati da due giocatori sovietici.
Gli interessi su entrambi i fronti erano dunque forti, e sono questi interessi che hanno mosso le fila di quanto successo attorno a questa sfida. Già la scelta di ospitare la sfida a Reykjavik è stata enormemente discussa, dopo un lungo duello testa a testa con Belgrado e dopo che in maniera sorprendente né Usa né Russia si erano candidate per ospitare almeno metà delle ventuno partite totali disputate.
Inoltre, gli interessi extra-scacchi in gioco si notano dalla discesa in campo dell’allora Consigliere per la Sicurezza nazionale americano, Henry Kissinger: è stato lui a convincere l’estroso e scorbutico Bobby Fischer a recarsi in Islanda per giocare, sia dopo un iniziale rifiuto e sia dopo la sconfitta nella prima partita, in seguito alla quale Bobby aveva già prenotato un aereo per tornarsene a casa. Dopo queste pressioni - Spasskij ha ammesso di essere stato fortemente penalizzato da queste vicissitudini - Fischer è ritornato in gioco ed è riuscito a vincere, dimostrando una leggera superiorità nei confronti dell’avversario.
Il 1972 è dunque l’anno in cui Fischer diventa il primo (e ultimo!) campione mondiale americano degli scacchi, in anni in cui l’URSS era l’indiscussa sede putativa del gioco e in cui la rivalità tra le due potenze toccava il suo picco: un fatto dunque sensazionale, che non a caso ha regalato agli scacchi un’eccezionale notorietà anche nei Paesi occidentali negli anni successivi.
Cinquant’anni dopo
In Islanda si gioca a scacchi da diverso tempo, ed è anzi uno dei giochi a cui il Paese è più affezionato. L’aver ospitato il “Match del secolo” non ha fatto altro che accrescere una passione che negli islandesi è radicata da tempo, come mi conferma Leonardo:
“Gli scacchi probabilmente sono, insieme alla letteratura, il grande passatempo degli islandesi soprattutto nei periodi invernali, più bui. Entrando nei bar islandesi ad esempio, ma anche in alcune piscine, è facile trovare delle scacchiere sempre a disposizione per giocare, molto più facile che in altre parti del mondo”.
D’altronde gli scacchi sono la disciplina per eccellenza che stimola l’attenzione, la riflessione, l’arrovellarsi sul cercare una soluzione strategica a un problema che viene posto dal movimento di un pedone; situazioni che si conciliano perfettamente con il clima, la calma e i ritmi che contraddistinguono i mesi invernali dell’isola.
E dopo essersi posizionata sulla mappa degli scacchi, l’Islanda non è più uscita: sia per la passione per il gioco del popolo islandese, sia perché proprio quest’anno a Reykjavik si è svolto il campionato del mondo del Fischer Random Chess, una variante “randomica” del gioco resa celebre da Bobby Fischer e a cui si è appassionato anche il più celebre giocatore contemporaneo di scacchi, il norvegese Magnus Carlsen. Ritorna dunque in auge il nome di Bobby Fischer, ma non è un caso: l’Islanda deve il proprio legame con gli scacchi anche al rapporto viscerale creatosi proprio tra Fischer e la terra dei vulcani.
La patria di Bobby
L’enfant prodige che pian piano si afferma come uno dei migliori giocatori al mondo. L’uomo errante, testardo e solitario, in perenne lotta con se stesso e con il mondo.
Sono questi i due volti di Bobby Fischer, che probabilmente delineano anche dove si possa spingere la passione per un gioco così riflessivo, fino ai limiti della ragione e del ragionamento rischiando quasi di perderli.
Il legame di Fischer e l’Islanda, al di là del campionato del mondo del 1972, diventa indissolubile nel 2005, in maniera diametralmente opposta al rapporto sempre conflittuale con la madrepatria: dopo essere stato incarcerato per diversi mesi a Tokyo per conto degli Stati Uniti - non gli avevano perdonato di aver giocato, nel 1992, la “rivincita del XX secolo” contro Spasskij a Belgrado, all’epoca sotto embargo ONU -, Bobby riuscì ad uscire dal carcere solo grazie a un miracoloso passaporto islandese emesso in fretta e furia dall’Althing, il Parlamento islandese.
Dal 2005 Bobby Fischer si è ritirato in Islanda, dove è morto nel 2008. I suoi ultimi trent’anni di vita sono stati di fatto estremamente solitari, senza una partita ufficiale più disputata dopo la storica rivincita del 1992. Il ricordo di Fischer, in Islanda, è ancora vivissimo:
“Fischer è sepolto a Selfoss, una cittadina islandese di circa 7.000 abitanti, dove sorge anche il museo Bobby Fischer Center. Io ho vissuto lì proprio la mia prima esperienza da residente in Islanda, e ricordo come il cimitero fosse sempre ricoperto di fiori freschi, portati da turisti e appassionati, spesso americani che sanno perfettamente della presenza di Fischer lì. Inoltre, le librerie di Reykjavik possiedono spesso diversi libri legati non solo agli scacchi ma proprio alla figura di Bobby Fischer, attorno al quale sono nati diversi racconti sulla parte finale della sua vita, così misteriosa, contraddittoria e vissuta in maniera solitaria in Islanda”.
Un curiosissimo episodio è quello capitato nel 2006 sulla tv di stato Ríkisútvarpið, che proponeva un programma di due ore sugli scacchi. Nel bel mezzo di una sfida trasmessa in diretta, dopo un errore di uno dei partecipanti giunse in studio una chiamata che spiegava in maniera dettagliata come il maestro Arnar Gunnarson (colui che aveva commesso l’errore) avrebbe ripetuto rimediare ed evitare la sconfitta. Al telefono era intervenuto Robert James Fischer.
Probabilmente, solo in un contesto in cui Bobby aveva finalmente trovato la sua pace si sarebbe permesso una comparsata “pubblica” di questo tipo. Ancora più della partita del 1972, è la presenza di Bobby Fischer e i suoi ultimi anni di vita islandesi ad aver cementato il protagonismo dell’Islanda nella storia degli scacchi.
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E per finire
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