L'Amazzonia brasiliana: deforestazione e dintorni
#1 Mappe - Brasile 🇧🇷: tra piantagioni di soia, Bolsonaro, la Cina e una delle note liete prodotte dalla COP26, la deforestazione dell'Amazzonia brasiliana prosegue senza sosta.
Ciao, partiamo per il primo viaggio con Mappe! E buon anno!
Innanzitutto oggi compio venticinque anni: se hai tra i 25 e i 35 anni e non hai una newsletter o un podcast sembra che tu non possa esistere. Non volevo rischiare la mia incolumità , e quindi eccoci qua. Se vuoi farmi un regalo, puoi consigliare questa newsletter al tuo barista di fiducia e condividerla sui social!
In che senso scusa?
Questa volta più che mai, l’anno che si è appena chiuso è sembrato infinito. Come può essere trascorso poco meno di un anno dall’assalto al Campidoglio, a Washington? Oppure meno di dieci mesi da quando il portacontainer Ever Given si era incagliato nel Canale di Suez, bloccando il passaggio per una settimana? In che senso il progetto - poi naufragato - della Superlega era stato annunciato meno di nove mesi fa?
Un altro episodio dalla grande risonanza mediatica avvenuto molto più recentemente rispetto a quanto sembri, almeno per me, è stata la giornata globale di proteste per la continua deforestazione dell’Amazzonia brasiliana.
Il 23 agosto 2019 il movimento Fridays for Future aveva organizzato una giornata di severe contestazioni in seguito a settimane di roghi scoppiati negli stati brasiliani Rondônia, Amazonas, Pará e Mato Grosso. Gli incendi erano solo l’ultimo di una serie di duri colpi inflitti alla seconda foresta più grande del mondo, la più estesa tra quelle pluviali, che da decenni perde ettari su ettari con una continuità esasperante. E in questo, molte responsabilità sono da trovare nelle decisioni della politica ambientale brasiliana, aggravatasi con l’inizio della presidenza di Jair Bolsonaro nel 2019.
In un mondo che corre alla velocità della luce, dove la sfera dell’informazione è sottoposta ogni giorno a decine di migliaia di input (e a volte le *capita* di seguire quelli sbagliati), diverse tematiche di questo tipo ricevono la dovuta attenzione una tantum. La deforestazione dell’Amazzonia, però, prosegue senza sosta.
Parlano i dati
I dati di una delle pratiche che concorrono nell’annosa difficoltà di limitare l’aumento delle emissioni di CO2 sono impietosi: tra agosto 2020 e luglio 2021 la deforestazione dell’Amazzonia brasiliana è aumentata di quasi il 22% rispetto al periodo precedente, per un totale di 13.235 chilometri quadrati disboscati, il valore più alto dal 2005-2006. L’istituto di ricerca brasiliano Imazon, che monitora lo stato del disboscamento amazzone, conferma che dopo i 10,7 mila kmq andati in fumo nel 2019 e i 10,3 mila kmq nel 2020, la cifra totalizzata da gennaio ad agosto 2021 è pari a 7.715 mila kmq deforestati: se il trend dovesse essere proseguito anche negli ultimi mesi del 2021 (i dati completi non sono ancora disponibili), l’Amazzonia brasiliana avrebbe tra le mani un nuovo, triste record con cui leccarsi le ferite.
Le problematiche sono da ricercare sia nei tanti disboscamenti illegali e opera del crimine organizzato, che gestisce centinaia di ettori dell’Amazzonia brasiliana, sia nelle politiche dell’attuale governo: tra la fine degli anni 2000 e gli inizi del 2010 il Brasile aveva ridotto la deforestazione della propria porzione amazzone dell’80% grazie a un’attenta sorveglianza, nuove leggi ambientali e una moratoria sulla soia: molte di queste politiche sono state smantellate dalla nuova presidenza. Lo scorso ottobre proprio Jair Bolsonaro è stato denunciato alla Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità da Allrise, un gruppo austriaco di attivisti per la giustizia ambientale. Sotto la sua presidenza, la deforestazione dell’Amazzonia è aumentata dell’88% a partire dal 2019.
Fortunatamente, una delle poche misure tuttora in vigore per contrastare la deforestazione è proprio la moratoria sulla soia (Amazon Soy Moratorium): si tratta di un accordo firmato nel 2006 da un gruppo di rivenditori della soia, insieme alla collaborazione tra privati, governo brasiliano e ONG, che si impegnavano a non acquistare soia che provenisse da aree di nuova coltivazione. Per capire meglio la rilevanza dell’accordo: secondo gli studiosi, tra il 2006 e il 2016 ha avuto il merito di evitare la deforestazione di 18mila kmq. Proprio nel 2016 l’accordo è stato prolungato a tempo indefinito e tutt’oggi non ha dovuto affrontare alcun ostacolo.
Si, ma perchè è così fondamentale concentrarsi su questo aspetto? La coltivazione della soia è considerata la seconda causa di deforestazione in Amazzonia dopo l’allevamento bovino, e nei prossimi cinque anni il Brasile diventerà il primo esportatore mondiale di cereali (tra cui la stessa soia), superando gli USA, proprio grazie alla grande quantità di terreno teoricamente (e praticamente) deforestabile e utilizzabile per le piantagioni. A ritmo incessante, gli incendi illegali di porzioni di foresta creano spazio per le piantagioni di soia, la cui richiesta è in costante crescita sia perchè è cresciuto l’interesse da parte della Cina (nel 2018 ha importato 68 milioni di tonnellate dalla Cina, quasi quattro volte il volume del mercato interno brasiliano), sia perchè gli allevamenti intensivi di bovini richiedono una grande quantità di mangimi a base di soia. Il cerchio si chiude: dato il costante aumento dell’economia cinese una fetta sempre maggiore della popolazione sta entrando con più facilità nella classe media, la cui dieta vede la carne come elemento centrale, con la conseguenza di una sempre maggior richiesta di mangimi a base di soia per gli allevamenti intensivi sul suolo cinese.
The *bright* side of the moon
Esiste, per fortuna, anche l’altra faccia della medaglia: in occasione della COP26 di Glasgow dello scorso novembre, 141 Paesi rappresentanti il 90% della superficie forestale terrestre hanno stretto un accordo per fermare la deforestazione mondiale entro il 2030: tra questi Paesi c’è anche il Brasile di Bolsonaro. Di seguito puoi leggere le dichiarazioni ufficiali.
Secondo la stessa logica con cui la scienza sta studiando le modalità con cui poter ‘compensare’ e assorbire i 51 miliardi di tonnellate di gas serra che produciamo ogni anno, a fronte della deforestazione stanno nascendo diversi progetti e iniziative per aumentare il numero di alberi e ripopolare di verde intere regioni in tutto il mondo. In attesa del perfezionamento delle tecnologie per la cattura dell’anidride carbonica direttamente dall’aria (la cosiddetta DAC), i progetti di ripopolamento verde sono la via più efficace per la sottrazione di CO2, tentando così di rallentare il riscaldamento del pianeta dovuto alla massiccia presenza di gas serra (tra cui la stessa CO2) nell’aria.
Dalla Trillion Tree Campaign di Plant-for-the-Planet, progetto che mira a piantare un trilione (mille miliardi per noi non amanti della matematica) di alberi in tutto il mondo, al mastodontico rimboschimento promosso dalla Cina (il Paese più ‘inquinante’ del mondo: ci sono forse dei sensi di colpa?) nel deserto dei Gobi: un programma iniziato nel 1978 e che prevede la creazione di strisce di foresta per un totale di 4500 km entro il 2050. Con lo stesso nome del programma cinese (Great Green Wall) è nato nel 2007 un progetto in Africa, con l’obiettivo di raggiungere ben 8000 km di alberi piantati sul suolo africano.
A livello globale, il saldo tra porzioni di terra deforestate e ripopolate di verde resta in ogni caso fortemente negativo. Il ruolo degli assorbitori naturali di anidride carbonica - i cari vecchi alberi - è fondamentale nel raggiungere l’obiettivo net zero entro il 2050, e ancor prima per accompagnare il principale dato concreto emerso dal Glasgow Climate Pact: nel 2030 il mondo dovrà emettere il 45% di gas serra in meno rispetto ai valori del 2010.
E quindi bisogna fare presto. Anche nei confronti della deforestazione dell’Amazzonia.
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E per finire
La foto più aesthetically pleasing vista di recente:
Il podcast da non perdere: la prima puntata di Benzina sul fuoco, prodotto da Piano P e realizzato da Marco Grasso e Sabina Zambon. Si parla di petrolio, e il petrolio è letteralmente ovunque:
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Grazie e a presto!
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