The Great Pacific Garbage Patch
#23 Mappe - Plastica 🚯: nell'Oceano Pacifico c'è un'area invasa da rifiuti di plastica, più grande di Francia e Penisola Iberica messe insieme. E la produzione di plastica non fa altro che aumentare.
Ciao, buona domenica!
Io sono Andrea e tu stai per leggere una nuova puntata di Mappe, la newsletter che ti porta a scoprire storie, culture e persone. Un Paese alla volta.
Se hai già letto le scorse puntate presenti in archivio, saprai che ogni tanto ci sono delle eccezioni. Per esempio, nella decima puntata avevamo parlato di Marte con Matteo Castellucci, e anche oggi non parleremo di un vero e proprio Paese.
Parleremo del sesto continente presente sul pianeta Terra: si somma a Europa, Africa, Asia, Oceania e Americhe - per alcuni le Americhe si possono dividere, ma poco importa in questo caso -, è composto da plastiche e microplastiche e galleggia in mezzo all’Oceano Pacifico. The Great Pacific Garbage Patch: la grande chiazza di immondizia nel Pacifico.
Prima di iniziare, le solite raccomandazioni: se ti piace Mappe, consigliala a chi vuoi ma soprattutto al tuo barista di fiducia. E se non l’hai ancora fatto:
1963
Il 1963 è l’anno in cui l’ingegnere chimico Giulio Natta riceve il premio Nobel per la chimica, insieme a Karl Ziegler. Il motivo? Negli anni precedenti i due avevano effettuato delle scoperte estremamente rilevanti nella tecnologia dei polimeri, e in particolare attraverso la produzione del polipropilene isotattico.
Finisce qui lo spiegone, ma era una premessa obbligatoria: il polipropilene e le significative scoperte tecnologiche nella sua struttura sono state la premessa per l’uso massivo della plastica che facciamo oggi. Infatti, è soprattutto per le scoperte di Natta e Ziegler che la plastica è riuscita a diventare un elemento cardine di qualsiasi ambito della nostra vita, trasformando le nostre abitudini.
1997
Chissà cosa penserebbero oggi Natta e Ziegler delle loro scoperte: la plastica è infatti, da decenni, un materiale rivoluzionario per la vita umana. Poco costosa, universale, capace di adattarsi a molteplici usi e a contenere qualsiasi tipo di prodotto: oggi troviamo la plastica in scarpe, bottiglie, sedie, cannucce, sacchetti di patatine e quant’altro.
Insomma, la produzione del polipropilene isotattico è stato l’ultimo passo per permettere alla plastica di innestarsi come elemento irrinunciabile in tutto il mondo: non è un caso che proprio dagli anni Sessanta la produzione di plastica mondiale sia aumentata a dismisura, con i primi decenni trascorsi ad apprezzare i grandissimi vantaggi dell’utilizzo di questo materiale.

Da risorsa, a problema: dopo i primi decenni euforici, il 1997 ha generato un sonoro schiaffo per l’utilizzo della plastica. Non che prima non si sapesse che le materie plastiche impiegano centinaia di anni a biodegradarsi - proprio perchè estremamente resistenete -, ma semplicemente i volumi ancora relativamente bassi di produzione non facevano presupporre particolari problematiche.
Poi, nel 1997, il velista Charles Moore stava affrontando una gara in barca dalle Hawaii alla California e si trova improvvisamente circondato da milioni di pezzi di plastica. Ci impiega ben sette giorni per attraversare quest’area gigantesca, e al suo ritorno conferma per la prima volta un sentore già nato alla fine degli anni Ottanta, da alcuni scienziati sulle spiagge dell’Alaska: l’Oceano Pacifico è un cimitero di plastica a cielo aperto.
700.000 km quadrati
Oggi sappiamo con certezza dell’esistenza di questo vortice di plastica nel Pacifico, fra il 135º e il 155º meridiano Ovest e fra il 35º e il 42º parallelo Nord. Ma l’area è così grande che nemmeno con gli strumenti più tecnologici e con le osservazioni sul posto si possono comprendere precisamente le sue misure: le stime vanno da 700.000 km² fino a più di 10 milioni di km². Un’area, insomma, sicuramente più grande di Francia e Penisola Iberica messe insieme, ma probabilmente anche più grande degli stessi Stati Uniti.
Questo immenso ammasso di plastiche e microplastiche - milioni di questi residui non sono nemmeno visibili a occhio nudo, e vanno a mischiarsi con il plancton marino - si è formato da decenni per via delle correnti circolari in senso orario che si muovono nell’Oceano Pacifico e che hanno creato questa situazione “di stallo”, ma ovviamente la plastica non è giunta lì per colpa loro. Infatti, più dell’80% dei rifiuti plastici presenti nei mari - e quindi anche nel Great Pacific Garbage Patch - proviene direttamente da fonti terrestri, da spiagge, foci dei fiumi, discariche. Il mare è pieno di rifiuti che si degradano in centinaia di anni, e abbiamo fatto tutto da soli.
Come vedi, il Pacific Garbage Patch non è l’unica area marina piena di plastica e altri rifiuti: ci sono altre quattro aree meno vaste - due ai lati del Sudamerica, una nell’Oceano Atlantico settentrionale e una nell’Oceano Indiano - che sono il risultato dell’incredibile produzione annuale di plastica, in aumento vertiginoso dall’inizio del XXI secolo. Si stima che più di 10 milioni di tonnellate di plastica finiscano in mare ogni anno, e che nel 2050 la domanda globale di plastica salirà a 800 milioni di tonnellate, con un impatto rilevante da parte di BRICS e altre nazioni emergenti.
Quello della produzione della plastica è un problema a cui bisogna mettere freno - anche perchè comporta un non trascurabile impiego di petrolio -, ma di pari passo andrebbe trovata una soluzione anche per i residui di plastica già esistenti in mare: nessuna nazione può singolarmente accollarsi i costi di un’eventuale smaltimento di rifiuti, e per ora manca ancora un accordo globale - una sorta di trattato marino sulla scorta dell’Accordo di Parigi del 2015, per intenderci - che permetta di risolvere almeno parzialmente la questione, magari supportando organizzazioni no profit come The Ocean Cleanup, fondata nel 2013 dall’olandese Boyan Slat.
Nel frattempo, i pesci continuano a ingerire quotidianamente milioni di questi frammenti, con il risultato di trovarne una fetta considerevole nei nostri cibi: mediamente ingeriamo 5 grammi di plastica al giorno, l’equivalente di una carta di credito. Slurp!
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E per finire
La foto più aesthetically pleasing vista di recente: non è un quadro di Pollock, ma arriva dal cuore della “grande chiazza di immondizia del Pacifico”:
Un libro da non perdere (eh, le newsletter erano finite… - leggila con la voce di Aldo): Primavera ambientale di Ferdinando Cotugno, il primissimo ospite di Mappe per la puntata su litio e Cile.
Il podcast da ascoltare in macchina: L’Unicorno (Will Media), otto puntate che raccontano l’ascesa e caduta di Bio-On, start-up focalizzata sulle bio-plastiche che aveva superato il miliardo di capitalizzazione. Bellissimo.
Grazie e a presto!