Non siamo dei tacchini!
#12 Mappe - Turchia 🇹🇷: l'Africa, gli Emirati Arabi Uniti, la guerra in Ucraina, i tacchini. Erdogan sta cercando di ridisegnare la posizione e il peso della Turchia sullo scacchiere internazionale.
Ciao, siamo arrivati alla dodicesima puntata di Mappe, la newsletter che ti parla di culture, storie e persone in giro per il mondo. Rigorosamente un Paese alla volta.
Altrettanto rigorosamente, la puntata arriva di nuovo il martedì mattina al posto del canonico lunedì. Se tra due settimane la aspetterai ancora il martedì, probabilmente stupirò me stesso e forse riuscirò a inviartela il lunedì. Insomma, ho le idee chiare.
Le idee chiare sono quelle che sembra avere Recep Tayyip Erdoğan, l’attuale presidente dal Turchia dal 2014, almeno per quanto riguarda la posizione e l’immagine della Turchia che vuole costruire agli occhi di opinione pubblica e istituzioni internazionali (internamente, invece, le cose non vanno benissimo). Come racconta Il Post, nei giorni scorsi la Turchia ha richiesto alle Nazioni Unite di essere denominata in modo diverso a livello internazionale: non più “Turkey” (che in inglese significa tacchino), ma da qui in avanti con il nome turco “Türkiye”. Un desiderio che risponde alla volontà di rebranding internazionale voluta proprio dal presidente, all’interno dei progetti ancor più grandi con cui Erdogan sembra voler affermare l’entità dello Stato turco nel mondo.
Oggi parliamo di Turchia, e prima di iniziare ti ricordo subito la to-do-list: se ti piace Mappe, puoi lasciare un bel like a fine puntata e condividerla sui social (Mappe è anche su Instagram), e soprattutto puoi consigliarla al tuo barista di fiducia. Puoi leggere Mappe nella tua casella mail (se non ti arriva nella Home sposta la mail da Promozioni nella casella principale), oppure puoi scaricare l’app di Substack.
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Interno vs esterno
Erdogan non se la sta passando benissimo. Nel corso del 2021 la valuta turca ha perso il 44% del suo valore rispetto al dollaro americano, attualmente la crisi economica che sta attraversando il Paese è piuttosto severa e si narra che l’inflazione stia raggiungendo picchi dell’80% (e non il 36% ufficiale); soprattutto il gradimento nei confronti del suo mandato sta raggiungendo valori sempre più bassi: negli ultimi mesi secondo un sondaggio turco sarebbe addirittura il quarto leader per gradimento con il solo 38%, dietro il sindaco di Ankara Mansur Yavas, il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu e Meral Aksener.
Probabilmente anche per mettere in secondo piano il malcontento generale che si respira nel territorio turco, ci sono diversi indizi che suggeriscono come negli ultimi mesi il presidente turco stia cercando di apportare dei cambiamenti sensibili alla posizione percepita della Turchia sullo scenario internazionale. Se l’operazione di '“rebranding” è un qualcosa di confermato dallo stesso Erdogan - “Türkiye è il modo migliore per rappresentare ed esprimere la cultura, la civiltà e i valori del popolo turco” aveva affermato a dicembre -, gli altri fatti di cui parleremo ora sono tante stelle che compongono una costellazione dall’indirizzo piuttosto preciso.
Antalya
Il fatto più “pesante” a livello geopolitico è sicuramente il forum diplomatico ospitato dalla cittadina turca Antalya per discutere della guerra russa in Ucraina, lo scorso marzo. Il forum ha infatti riunito tanti esponenti di alcuni dei Paesi più influenti a livello mondiale, nonostante l’assenza di Cina e USA. Erano però presenti Lavrov, ministro degli Esteri russo, e l’omologo ucraino Kuleba: la loro presenza ha reso assai significativi i giorni del forum turco, e mostra come Erdogan stia concretamente tentando di rendere la Turchia uno dei Paesi protagonisti nei tentativi di mediazione tra i due Paesi.
Certo, dal lato opposto la Turchia si è anche opposta alla richiesta di entrata nella Nato da parte di Svezia e Finlandia, poiché entrambe ospiterebbero membri del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), entità autonoma che ha dei rapporti piuttosto tesi con le forze turche e il cui partito viene considerato un’organizzazione terrorista non solo dalla Turchia ma anche dagli USA. Anche questo veto comunicato pubblicamente, tuttavia, si inserisce all’interno dei tentativi di Erdogan di rendere più riconoscibile la posizione turca sullo scacchiere geopolitico.
La posizione sulla guerra russo-ucraina resta di esclusiva mediazione, di cui si possono immaginare i motivi pur non essendo un punto di vista necessariamente condivisibile: la Turchia dipende in gran parte dal gas russo e dal turismo russo sul proprio territorio, così come è consistente la quota di esportazione agricola dalla Turchia verso la Russia. Nessun altro leader politico, però, ha per ora manifestato tale pragmatismo e volontà di mediazione, e dunque Erdogan è riuscito a procurare alla Turchia un ruolo internazionale di primaria importanza all’interno dell’annosa questione su come fermare al più presto la guerra intrapresa da Putin.
Africa ed Emirati Arabi
La Turchia di Erdogan sta cercando da qualche tempo di compiere importanti passi avanti anche in ambito economico e commerciale, aumentando il proprio peso specifico attraverso questi settori.
Le azioni del governo turco in Africa ricordano - più in piccolo - quelle che da anni sta intraprendendo la Cina. La Somalia e la sua capitale Mogadiscio sono uno degli esempi più evidenti: uno degli ospedali di Mogadiscio si chiama proprio Recep Tayyip Erdoğan, la Turkish Airlines dalla Somalia vola quotidianamente a Istanbul e diverse aziende turche si occupano da anni di lavori e ristrutturazioni di porti, strade e palazzi. Erdogan aveva visitato la Somalia nel 2011, mentre era immersa in una cruenta guerra civile, e da allora gli aiuti turchi non sono mai mancati, lì come in tanti altri Paesi africani.
La Turchia può contare su diverse alleanze militari con Nigeria, Senegal e Togo, e sul territorio turco le ambasciate africane sono triplicate in due decenni (oggi sono 37). Investimenti militari, infrastrutturali, sociali ed economici: la Turchia sta cercando di penetrare nel territorio africano in maniera capillare, con bandiere turche che compaiono sulla maggior parte dei pacchi alimentari che giungono fuori dal continente, con progetti realizzati da imprese turche che sfiorano il valore di 78 miliardi di dollari (strade, moschee, aeroporti). Non mancano anche accordi di natura puramente militare per la vendita di armi, come accaduto in Etiopia, Libia, Marocco e Tunisia e senza preoccuparsi delle finalità con cui queste ultime vengono usate: non è ovviamente un aspetto positivo, anzi, ma anche questo elemento ci spiega come accordi di questo tipo siano utili a Erdogan per comunicare al mondo l’immagine di una Turchia come potenza nascente, forte e intraprendente.
Anche in questa direzione si muove il recente accordo siglato da Erdogan con gli Emirati Arabi Uniti, pari a 4.9 miliardi di dollari: un po’ per la necessità di far fronte alla crisi economica interna, certo, ma anche per rilanciare una partnership con un (ricco) vicino appartenente al Golfo Persico e in grado di attrarre investimenti esteri, magari proprio da un’area dove per anni la Turchia è riuscita ad attrarre soltanto tensioni e competizioni di natura economica e commerciale.
Con l’Europa
Questi tentativi, forse, derivano anche dallo stallo in cui si trova il progetto di adesione della Turchia all’Unione Europea. I negoziati per la sua adesione sono iniziati nel 2005, ma a quasi vent’anni di distanza tanti degli elementi in discussione sono ancora lontani dall’essere risolti. Non ha aiutato sicuramente un episodio, indice di instabilità politica, come il tentato colpo di Stato del 2016 ad opera dell’apparato militare turco (quella nottata la ricordo ancora: uno dei momenti più assurdi da seguire e leggere su Twitter, con il presidente Erdogan in volo per imprecisate ore), e nemmeno le complesse relazioni con l’Europa. Nel 2016 la Turchia aveva stretto un importante - e criticatissimo - accordo con l’UE per affrontare e gestire le migrazioni provenienti dalla Siria, con un assegno di 6 miliardi di euro per il mantenimento nei propri confini di una considerevole quota di migranti. Questo accordo faceva presagire un improvviso miglioramento nelle relazioni e un’apertura alla sua entrata nell’UE, ma la difficile gestione delle migrazioni negli anni successivi insieme ad altri problemi interni alla Turchia (la violazione della libertà di stampa, le carcerazioni preventive di decine di migliaia di oppositori di Erdogan, il coinvolgimento nella guerra siriana e tanto altro) ha portato all’attuale situazione di stallo, con Erdogan che ha di fatto rinunciato all’adesione.
In ogni caso, l’odierno attivismo politico, economico e militare turco non era minimamente atteso da diverse potenze occidentali, spiazzate dagli inusuali tentativi di protagonismo internazionale e geopolitico della Turchia. Tra l’Africa e i Paesi del Golfo Arabico, tra la mediazione nella guerra russo-ucraina e le severe difficoltà interne, passando per i tacchini, il presidente turco Erdogan sta cercando di riposizionare l’immagine della sua Turchia agli occhi del panorama internazionale.
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E per finire
La foto più aesthetically pleasing vista di recente:
Una newsletter da leggere: Charlie, forse una delle newsletter più conosciute nel panorama nazionale. Ogni settimana è scritta dalla redazione del Post, e parla del “dannato futuro dei giornali”.
Il podcast da non perdere: oggi faccio uno strappo alla regola e ti consiglio un podcast in anticipo, uscirà per la prima volta domani. Si chiama ControMosse, lo produce Il Messaggero con le voci di Giovanni Diamanti e Luigi Di Gregorio e parla delle strategie dei leader politici (chissà, magari parleranno anche di Erdogan):
Grazie e a presto!