Una backroom dadaista
#63 Mappe - Turkmenistan 🇹🇲: un Paese sospeso in un limbo. Crateri a cielo aperto, deserti e un'autocrazia ereditaria e repressiva che la avvicina alla Corea del Nord.
Ciao, buon lunedì!
Io sono Andrea Codega e questa è una nuova puntata di Mappe, la newsletter che ti parla di storie, culture e persone. Un Paese alla volta, ogni lunedì alle 8:04.
Nello specifico, questa è la 63esima puntata: tutte le altre le puoi trovare in archivio.
Su questi canali non abbiamo mai dedicato una puntata alla Corea del Nord, ma sono piuttosto sicuro di averti già parlato del reportage di Giuseppe Bertuccio d’Angelo (Progetto Happiness sui social).
Un reportage sensazionale, per l’accuratezza delle riprese e proprio per *quanto* è stato catturato di uno dei Paesi più misteriosi del mondo, sicuramente la dittatura più isolata del globo. Qui ti lascio la playlist con tutti gli episodi del reportage:
Ecco, questi video mi sono tornati in mente lo scorso mercoledì sera, quando nel circolo Nuovo Armenia, a Milano, ho partecipato a un incontro sul *rullo di tamburi* Turkmenistan. Il più classico dei mercoledì sera che ti puoi aspettare.
Un Paese del quale - fino a pochi giorni fa - sapevo poco o nulla come probabilmente stai ammettendo tu, e quindi non posso non menzionare le preziose parole degli ospiti dell’incontro che fanno da sfondo a questa puntata: Mattia Salvia di Iconografie, la podcaster Eleonora Sacco e Gianluca Pardelli di Soviet Tours.
Porta dell’Inferno
Non è un titolo altisonante buttato qui a casaccio: la cosiddetta “Porta dell’Inferno” è uno dei crateri più famosi al mondo. SI trova a Darzana, nel mezzo del deserto turkmeno, e si è originato dal collasso naturale di una caverna di gas in seguito al quale, nel 1971, i geologi optarono per incendiarla così da consumare tutto il gas combustibile contenuto all’interno.
C’è un dettaglio: il fuoco continua a bruciare ininterrottamente dal 1971.
La Porta dell’Inferno è forse il pretesto con cui il Turkmenistan è maggiormente conosciuto. Questo Stato affonda la sua porzione occidentale nel Mar Caspio, ed è attorniato dall’intero clan degli -stan: Uzbekistan, Afghanistan, Tagikistan e Kazakistan, leggermente più lontani Kirghizistan - di cui già abbiamo parlato - e Pakistan.
Il Turkmenistan è uno dei quindici Paesi sorti dalle ceneri dell’URSS, ma prima della sua formazione gli attuali 6 milioni di abitanti non si sentivano accomunati dall’idea di un nuovo Stato. Questo è uno dei motivi per cui, oggi, il potere statale è tale da poterlo definire una vera e propria autocrazia ereditaria. Così ha aggiunto Mattia Salvia durante l’incontro:
Il progetto attuale del leader nazionale Gurbanguly Berdimuhamedow vede le elitè locali e i partiti con in mano tutto il comparto economico-produttivo del Paese. Possiamo parlare di una patina di post-modernità, di una maschera di patrimonializzazione del potere statale.
Ad esempio, si parla tanto di un nuovo progetto di smart city: Arkadag, nella provincia di Ahal. Una città che ancora deve vedere la sua piena costruzione, ma che è in realtà un grande progetto per tenere distratta l’attenzione sul Paese: sia quella esterna, sia quella di una popolazione da tenere “lobotomizzata”.
Il filo Corea-Turkmenistan
Il termine “autocrazia” è calzante per definire il sistema con cui i Berdimuhamedow - il padre Gurbanguly e il figlio Serdar - e il loro predecessore - il primo presidente turkmeno Saparmyrat Nyýazow - stanno governando il Pese.
Si basa sulla cultura della personalità del leader, su logiche di repressione, su un’economia di Stato sempre più capillare, sull’ossessione per la parola scritta tipica del socialismo reale.
I racconti di Mattia, Eleonora e Gianluca mi hanno ricordato proprio la tipologia delle reazioni che le guide nord-coreane avevano fornito nei video di Progetto Happiness:
Tante persone ammettono candidamente di non essere mai andate all’estero. Molti di loro, a qualsiasi nostra domanda rispondevano con un “forse” dubbioso, non lasciando trasparire nulla sulla logica che regge l’autocrazia cui sono costretti.
Per chi arriva dall’estero, non esiste una SIM e si può comunicare soltanto via mail, che è comunque soggetta a censura. Google funziona, ma tra i propri risultati restituisce soltanto siti turkmeni e così anche la televisione: un puro meccanismo di autocelebrazione a vuoto, formato da soli canali tv russi o turchi.
Possiamo definire il Turkmenistan come un vero e proprio spazio di internet in chiaroscuro, una Backroom labirintica e dadaista.
Deserto
Il Turkmenistan copre un territorio vastissimo, superiore alla Francia. Il deserto del Karakum occupa addirittura il 70% della sua superficie, e la sua difficoltà nel visitarlo si accompagna alla stessa con cui si riesce ottenere il visto d’ingresso, nonostante la recente riapertura al turismo.
Oggi sta cercando di costruirsi come località più “cool”, ed effettivamente alcune delle sue - poche e sparse - attrazioni stanno diventando più chiacchierate. Dalla Porta dell’Inferno alla sua capitale Ashgabat - la città con più edifici rivestiti di marmo al mondo - passando per l’aeroporto a forma di falco bianco.
Sono la recente accoglienza del turismo e una popolazione ancora non integralmente assuefatta alla narrazione autoritaria delle elitè a non rendere il Paese del Mar Caspio una vera e propria Corea del Nord.
Il concetto più adatto per descrivere il Turkmenistan attuale è quello di “limbo”: sospeso tra un timido occhio verso l’esterno e una post-modernità ancora celebrativa del potere. Uno spazio intermedio come quelli che si trovano sul web.
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E per finire
La foto più aesthetically pleasing vista di recente:
Alcuni articoli letti in questi giorni: Donald Trump è stato condannato su Il Post; una guida per avvicinarsi alle elezioni europee su Internazionale; la prossima presidente del Messico su Il Post; il dramma dei carceri minorili italiani su Lucy Sulla Cultura.
La newsletter da non perdere: mi sono appassionato ad Appunti, il long-form quotidiano sull’attualità del giornalista Stefano Feltri.
Il podcast da ascoltare mentre sei in coda: Cemento, il podcast di Eleonora Sacco e Angelo Zinna sull’Est Europa e non solo.
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