Quella storia della coda sull'Everest
#90 Mappe - Nepal 🇳🇵: sulla montagna più alta del mondo ci sono gli stessi problemi delle città. Rifiuti e sovraffollamento.
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Qualche Paese non è ancora comparso sulla cartina di Google Maps perché, chissà, forse, magari, un giorno vorrei andarci fisicamente e scriverne su queste pagine.
Tra questi, probabilmente potrebbe non esserci il Nepal 🇳🇵, l’unico Paese al mondo con una bandiera non quadrata o rettangolare. Di recente, infatti, il Dipartimento del Turismo nepalese ha annunciato che i prezzi dei permessi concessi per salire sull’Everest aumenteranno del 36%, dal prossimo settembre.
Una misura che vuole preservare il contesto himalayano da un sovraffollamento sempre più crescente di alpinisti, guide e Sherpa.
Chomolungma
Chomolungma è lo storico nome con cui i tibetani chiamavano la montagna più alta del mondo: significa “Dea della Terra”, e venne sostituito da Everest dai funzionari del Survey of India, un ufficio cartografico inglese che dall’India - allora un territorio protetto dalla Corona britannica - si era spinto fino al Nepal.
Sir George Everest - il nome era stato scelto in sua memoria - era stato il direttore del Survey of India tra il 1830 e il 1843. Nel 1854, dopo anni di lavoro, i rilievi del gruppo britannico portarono ad assegnare all’Everest un’altezza di 8.839 metri sul livello del mare. Contando che l’altezza corretta - calcolata qualche decennio dopo - è di 8.848 metri, ci erano andati molto vicini. Tra l’altro, l’Everest cresce di 2 millimetri ogni anno.
Quattordici “ottomila”
Nel mondo, esistono quattordici vette che superano gli 8.000 metri sul livello del mare.
È un numero arcinoto tra gli appassionati e decisamente simbolico: l’alpinista nepalese Nirmal Purja le ha scalate tutte nel giro di sei mesi e sei giorni, ma in questo circolo di pochi eletti troviamo anche l’italiano Reinhold Messner, il portabandiera dell’alpinismo italiano, uno dei più rispettati al mondo.
Everest, K2, Kanghenjunga, Lhotse, Makalu, Cho Oyu, Dhaulagiri I, Manaslu, Nanga Parbat, Annapurna I, Gasherbrum I, Broad Peak, Gasherbrum II, Shisha Pangma: la maggior parte di esse è presente proprio sulla catena montuosa dell’Himalaya, e il territorio del Nepal lambisce ben otto di queste cime.

HIllary-Norgay
Alpinisti e scalatori oggi possono accedere alla cima dell’Everest attraverso due vie: da sud, in Nepal, oppure da nord, in Tibet.
Settantadue anni fa, attraverso il versante nepalese, la vetta della montagna venne raggiunta per la prima volta dall’inglese Edmund Hillary e lo sherpa Tenzing Norgay.
La spedizione inglese del 1953, guidata da Sir John Hunt, contava 350 portatori e 20 sherpa “a servizio” di dieci alpinisti. Tra questi, tre giorni prima del duo Hillary-Norgay erano stati Tom Bourdillon e Charles Evans ad arrivare a cento metri dalla vetta, rinunciando all’ascesa per problemi di ossigeno.
Col passare dei decenni, la notorietà e accessibilità del Monte Everest si è decisamente allargata, quasi democratizzata: Reinhold Messner fu il primo a raggiungere la vetta senza l’assistenza di ossigeno nel 1980, mentre nel 2000 lo sloveno Davorin Karnicar scese con gli sci per ben 3.657 metri.
Più di recente, invece, l’alpinista Andrzej Bargiel ha utilizzato gli sci per scendere dalla cima del K2: un’impresa simile e un video da brividi.
Quante persone arrivano sull’Everest?
Dicevamo, l’Everest si è democratizzato.
Pur contando almeno 330 alpinisti morti cercando di raggiungere la vetta o scendendo da essa, l’Everest è meno difficile da scalare del K2: i suoi pendii sono meno ripidi, le condizioni meteorologiche meno estreme.
Per questo ogni anno vengono concessi centinaia di permessi di accesso ad alpinisti stranieri, che si snodano attraverso i campi base dell’Everest prima di tentare l’ascesa alla vetta.
Stando ai dati raccolti dall’alpinista Alan Arnette, nel 2024 sono avvenute circa 860 ascese all’Everest - contando entrambi i versanti di accesso e comprendendo sia alpinisti che sherpa e guide -, tra cui si contano purtroppo anche 8 morti.
Complessivamente, dalla prima ascesa del 1953 a oggi dovrebbero essere circa 12.880 le persone ad aver scalato l'Everest. Il confronto con il K2 è presto spiegato: sulla vetta della seconda montagna più alta del mondo sono giunte soltanto 800 persone, mentre in 96 sono morti nel tentativo di arrivarci.
Coda e microplastiche
Questa mole di alpinisti ha prodotto, negli ultimi anni, una vera e propria coda nel tentativo di accedere alle ultime centinaia di metri: in un anno, la “finestra” principale per salire sull’Everest si apre e si chiude nella sola seconda metà di maggio. Tra il 15 e il 27 maggio infatti avvengono circa l’80% delle ascese alla vetta.
Se aggiungiamo che all’interno di questa risicato periodo non si possono sfruttare i giorni di maltempo, si capisce bene perché sia sempre più consueto vedere accalcarsi le centinaia di alpinisti giunti da tutto il mondo.

La crescente mole di appassionati significa anche un maggior numero di alpinisti “meno esperti”, e un aumento di code per le quali gli scalatori spesso attendono decine di minuti il proprio turno per raggiungere la vetta, con il rischio di congelamento o qualsiasi tipo di imprevisto.
Inoltre, l’innalzamento del costo dei permessi nei mesi di aprile e maggio da 11.000 a 15.000 dollari arriva anche per via dell’aumento dell’inquinamento. Ogni anno gli alpinisti rilasciano frammenti di microplastica attraverso i tessuti tecnici: siamo arrivati al punto in cui le microplastiche sono presenti nei fondali degli oceani così come nel punto più alto della Terra.
Dal micro al macro: nell’intera area dell’Everest - chiamata Sagarmatha, in nepalese - si accumulano fino a cinque tonnellate al giorno di rifiuti. Lattine, bottiglie, escrementi che rendono i ghiacciai sempre più inquinati: da qui la decisione delle autorità nepalesi di costringere gli alpinisti a portare la propria cacca indietro al campo base.
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Alcuni articoli letti in questi giorni:
Un bellissimo viaggio nella gentrificazione del quartiere Lavapiès, a Madrid, su Il Post
La broligarchy che ha assistito all’inaugurazione della presidenza Trump, su Rivista Studio
Gli USA usciranno, di nuovo, dall’accordo di Parigi sul clima, su Linkiesta
La puntata di Mappe da rileggere: Jannik Sinner ha vinto gli Australian Open, di nuovo. In occasione del primo titolo Slam, avevamo dedicato la puntata sull’Australia 🇦🇺 a quello che è - già ora - uno dei migliori sportivi italiani di sempre.
Il podcast da ascoltare mentre sei in coda: in questi giorni ho recuperato il podcast del giornalista Valerio Nicolosi con Chora Media. Sulla disperazione e le condizioni di vita dei migranti lungo la rotta balcanica.
Qualche settimana dopo
Una nuova mini-rubrica in cui, dopo un po’ di tempo, facciamo un follow-up su uno dei Paesi e temi trattati nelle precedenti puntate.
Nelle ultime settimane abbiamo assistito a un nuovo scontro tra il governo colombiano di Gustavo Petro e l’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN), come racconta Internazionale.
La guerriglia civile che da anni attanaglia la Colombia 🇨🇴 deriva anche dal mercato della cocaina, in un Paese dove la sua coltivazione sta aumentando a dismisura. Ne avevamo parlato qualche mese fa, in una puntata che trovi qui sotto e in cui entrano in gioco anche le banane Chiquita.
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