Scusi, lei ha del cibo?
#13 Mappe - Indonesia 🇮🇩: l'ha fatto l'Indonesia con l'olio di palma, e una ventina di Stati con altri prodotti. I divieti massivi di esportazione alimentare stanno creando una situazione di emergenza.
Ciao, eccoci alla tredicesima puntata di Mappe!
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Oggi su Mappe torno a ospitare chi ne sa più di me: è il turno di Matteo Villa, Senior Research Fellow dell’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) e co-head dell’ISPI Data Lab. Partendo dall’Indonesia 🇮🇩, con lui voglio parlare e analizzare una delle tematiche più critiche delle ultime settimane, a livello globale: i divieti massivi di esportazione di prodotti alimentari, che stanno creando e creeranno diversi problemi nell’approvvigionamento dei beni alimentari oltre che uno smisurato aumento dei prezzi di acquisto. Partiamo!
L’olio di palma
Circa un mese e mezzo fa, il presidente indonesiano Joko Widodo ha annunciato il divieto di esportazione dell’olio di palma, prodotto di cui l’Indonesia è il principale produttore ed esportatore a livello globale. Un parziale divieto di esportazione era già iniziato da gennaio, per riuscire a mantenere una quantità di olio di palma abbondante e accessibile nel Paese, e per cercare di limitare quello che era un severo aumento dei prezzi di questo prodotto nato con il Covid-19 e poi ulteriormente accreciuto con la guerra russa in Ucraina.
Ora, probabilmente vi ricorderete dell’olio di palma per le grandi polemiche che aveva sollevato qualche anno fa sul fatto che potesse essere cancerogeno e nocivo, portando diverse persone in Italia a scartare totalmente alimenti che fossero prodotti con l’olio di palma. La realtà è che, nonostante queste illazioni per la maggiorparte smentite, questo alimento continua a fungere da ingrediente fondamentale per friggere, per i dolci ma anche per shampoo e detergenti. Fino a poco fa l’Indonesia ne produceva fino a 40 milioni di tonnellate all’anno ed esportava circa il 60% dell’olio di palma mondiale, tanto per fornire qualche numero.
Un problema globale
Quello che è importante segnalare, però, è che il divieto di esportazione di alimenti come fatto dall’Indonesia (che ha causato l’aumento dei prezzi degli altri oli vegetali che possono sostituire le proprietà dell’olio di palma) è una dinamica che, negli ultimi mesi, è stata intrapresa da decine di Stati. Stando al report in tempo reale fornito dal Food & Fertilizer Export Restrictions Tracker sono ben 25 i Paesi che da inizio anno hanno ordinato delle limitazioni alle esportazioni degli alimenti prodotti internamente: 19 di questi hanno stabilito un’effettivo divieto di esportazione, mentre in altri 6 è obbligatorio ottenere una licenza ad hoc per l’esportazione.
Proprio di questo ha parlato Matteo Villa nella sua recente pubblicazione sulla serie di restrizioni alle esportazioni di prodotti alimentari. Tra questi Paesi c’è, come detto, l’Indonesia, ma anche tanti altri attori principali del teatro alimentare mondiale: partendo dal peso fondamentale delle restrizioni di esportazione di grano e olio di semi di girasole da parte della Russia, che si accompagna alla difficoltà di esportare questi due prodotti dall’Ucraina (Russia e Ucraina coprono quasi il 30% di tutto l’export globale di grano, e il 12% del mercato dell’olio di semi di girasole), arrivando ad altri Paesi come India, Libano, Malesia, Turchia, Argentina ed Egitto.
Ed è in alcuni Paesi non troppo lontani dall’Indonesia che si stanno già sentendo alcuni degli effetti devastanti di questi divieti, che in poco tempo potrebbero aggravare ancora di più la situazione sociale di altri Paesi, come mi spiega Matteo:
“Ci sono Paesi già in crisi e già caduti, proprio vicino all’Indonesia: Sri Lanka è fallito pur di riuscire a importare ancora il cibo di cui ha bisogno per sopravvivere, ora sta rinegoziando il proprio debito e spera negli aiuti internazionali. Un altro Paese nell’area asiatica in crisi è il Pakistan, non solo a livello energetico ma anche alimentare. Con delle dovute differenze: se la crisi di Sri Lanka è iniziata a causa del cibo, il Pakistan era già invischiato in una situazione di transizione di potere che ora si è a sua volta complicata con una crisi energetico-alimentare”
Oggi le esportazioni alimentari hanno raggiunto circa il 17% dell’ammontare delle calorie commerciate a livello mondiale: un problema che nasce dall’inflazione iniziata due anni fa, aggravatasi con la guerra russo-ucraina e ora con prezzi che diventano ancor più drasticamente alti per via di questi divieti.
“Più vicini a noi ci sono Egitto e Tunisia, che dipendono fortemente dalle esportazioni di soia e grano di Ucraina e Russia. L’Egitto ha anche partecipato proprio in questi giorni al Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo, accettando l’invito proprio con la speranza di richiedere esportazioni alla Russia: l’Egitto versa in un periodo di severa siccità del Nilo, una situazione che sta colpendo anche altri territori come Etiopia e Sudan. E il caso dell’Egitto è ancor più particolare per via del sussidio del pane che esiste nel Paese da decenni: ora il problema è diventato enorme perchè il costo del pane sta crescendo, e dunque sussidiarlo è ancora più problematico a livello economico”
Proprio pochissimi giorni fa, non a caso, l’Egitto ha rinunciato in buona parte a perseguire il sussidio del pane, essendo rimasto senza il grano importato da Ucraina, Russia e anche India (anch’essa ha emanato il divieto di esportazione del grano). Il risultato? Il malcontento della fetta di popolazione rimasta esclusa.
Questione di prezzi
I divieti di esportazione alimentare sono dunque strettamente legati all’inflazione, al severo aumento dei prezzi come puoi vedere dal grafico qui sotto:
Il numero dei divieti di esportazione ha toccato il livello più alto mai raggiunto da quanto esiste questo genere di misurazione, simile solo ai picchi toccati in occasione della crisi del 2008. Rispetto ai periodi di inflazione precedenti, tuttavia, ci sono diverse differenze, e la prima di queste è sicuramente il decisivo ruolo della Russia: l’invasione dell’Ucraina, la consapevole decisione russa di limitare le proprie esportazioni di cereali e il non permettere la fuoriuscita di circa 25 milioni di tonnellate di grano esportabili in Ucraina attraverso la porzione di Mar Nero attorno ad Odessa cosparsa di mine sono tre fattori che pesano enormemente sull’economia alimentare globale. In questo contesto, potrebbe essere decisiva la mediazione della Turchia, sul solco di quanto abbiamo detto nell’ultima puntata di Mappe sul ritrovato protagonismo internazionale del presidente Erdogan.
Ma oltre a questo ci sono altre differenze, come mi spiega ancora Matteo:
“La crisi alimentare del 2008 fu soprattutto una crisi di speculazione, una vera e propria bolla implosa nel momento della recessione. La crisi nel 2011 (vedi grafico) nasce invece da una serie di raccolti andati male. Oggi invece sono presenti forze strutturali che fanno sì che il prezzo odierno non possa tornare sui livelli medi precedenti. Da prima del 2008 la domanda mondiale di cibo è fortemente aumentata con l’entrata di scena di attori in grande espansione come Cina e India, e conseguente accrescimento del settore della logistica dei trasporti: in ogni caso dopo il 2011 ci siamo attestati su livelli normali proprio perchè non ci sono state più particolari difficoltà nei raccolti stagionali”
Come si può vedere dal grafico, l’andamento del Food Price Index prima dell’innalzamento della domanda a causa di Cina e India (principalmente) si attestava su valori più bassi, rispetto ai prezzi del periodo 2011-2019. Il discorso però va anche orientato su come potrà orientarsi un graduale abbassamento dei livelli odierni di inflazione, dopo che nel 2009 e nel 2012 il ritorno a una situazione di “normalità” è stato piuttosto repentino.
“Nel 2020 pensavamo che, con la pandemia, la distribuzione globale non si sarebbe fermata, invece le grandi difficoltà hanno aumentato i prezzi, per via dei rischi e dei potenziali problemi che si sarebbero potuti creare durante il trasporto dei prodotti (ad esempio, il rischio che il grano marcisse durante i trasporti, in attesa che potesse approdare nei porti). L’invasione russa dell’Ucraina ha soltanto accresciuto, dunque, una situazione già insostenibile e oggi abbiamo raggiunto la soglia più elevata da quando esistono i prezzi alimentari. Forse già a giugno ci sarà un leggero rilassamento e i valori potrebbero gradualmente tornare verso i 130, ma comunque potremmo rimanere sopra la soglia dei 130 (il massimo livello pre-invasione) per uno-due anni”
Questione di grano, e non solo
La situazione dunque rischia diventare sempre più insostenibile, per Paesi che già sono instabili a livello sociale, economico e politico. Il blocco delle esportazioni di olio di palma indonesiano si unisce al divieto di più di 20 Paesi in giro per il mondo, in cui pesa in maniera enorme il grano bloccato in Russia e Ucraina. Come si vede dal grafico qui sopra, il grano è insieme al riso uno dei due cereali più importanti per la dieta alimentare globale. Per ora non ci sono particolari problemi che riguardano anche il riso, ma lo UN’ Food and Agriculture Organization Food Price Index ha già evidenziato come “rice could be next in line”. La maggiorparte (oltre il 50%) della sua produzione è nelle mani di Cina e India e il costo dei fertilizzanti sta aumentando: fattori che, insieme alla guerra, potrebbero portare a periodi di severa difficoltà per chi dipende in maniera quasi totale dal riso esportato da Cina e India, e cioè tantissimi Paesi dell’Asia.
Aggiungiamo, infine, che stiamo attraversando anche un periodo di forte aumento dei prezzi energetici e, concludendo, Matteo mi ha precisato come i due ambiti siano strettamente connessi:
Cibo ed energia sono connessi, non solo in termini di esportazione ma anche perchè la stessa energia è necessaria per produrre fertilizzanti, a loro volta indispensabili per la produzione di cibo. Dunque l’unione dell’aumento dei prezzi di entrambi si riflette inevitabilmente sul cibo e sull’emergenza alimentare”
🇮🇩🇮🇩🇮🇩
E per finire
La foto più aesthetically pleasing vista di recente:
Una newsletter da leggere: Katane, una newsletter su Asia e Pacifico a cura di Giulia Pompili, giornalista de Il Foglio.
Un podcast da non perdere: devo obbligatoriamente citare il ritorno di Qui si fa l’Italia. Un podcast di Lorenzo Baravalle e Lorenzo Pregliasco sui momenti salienti dei 151 anni di storia italiana, e che rientra sicuramente nella mia personalissima top-10:
Grazie e a presto!