Il muro delle due ore
#44 Mappe - Kenya 🇰🇪: il keniano Kelvin Kiptum si appresta a concludere una maratona sotto le due ore. Ma è tutto il Kenya a correre, più veloce di tutti.
Ciao, buona domenica!
Stai leggendo la puntata #44 di Mappe, la newsletter che ti parla di storie, culture e persone. Un Paese alla volta.
In continuità con la scorsa puntata (Prendo Uber) non sarò io a parlarti di quanto sta accadendo tra Israele e Gaza, ma voglio consigliarti analisi e opinioni più informate della mia: come è stata isolata la Striscia di Gaza, lo scontro tra Israele e ONU, l’Italia si è astenuta nella bozza di risoluzione delle Nazioni Unite per una tregua a Gaza.
Non è facile continuare a informarsi sulla vicenda, soprattutto per il bombardamento senza precedenti su Gaza a cui abbiamo assistito nella notte di sabato 28 ottobre: prima di prendere posizioni, forse è meglio farsi prendere da un momento di sgomento. Speriamo lo capisca anche la linea editoriale de Il Foglio.
Provo a distrarti portandoti qualche migliaia di km più a sud. La puntata odierna sarà diversa rispetto alle altre (le trovi in archivio): all’interno della puntata troverai una porzione di testo scritta da Lorenzo Bandini, e nell’ultima puntata della sua A cosa penso quando corro? troverai un mio contributo sullo stesso tema.
Insomma, una doppia puntata sullo stesso tema: parliamo di Kenya 🇰🇪 e maratone.
Record
Come sai già dall’ultima puntata, l’8 ottobre 2023 il corridore keniano Kelvin Kiptum ha chiuso la maratona di Chicago in 2 ore 0 minuti e 35 secondi: ha 23 anni, e quella di Chicago era soltanto la sua terza maratona in carriera, dopo qualche anno di Mezze maratone.
L’eccezionalità del fatto riguarda proprio il tempo fatto segnare sul cronometro: soltanto 35 secondi sopra le due ore.
Per la maratona, le due ore sono considerate da decenni un muro invalicabile, a partire dai primi Giochi Olimpici dell’era moderna, risalenti al 1896 in Grecia. Le due ore sono un po’ come il muro dei 19 secondi nei 200 metri piani - il record attuale appartiene a Usain Bolt, con il 19’’19 - o quello dei 2,45 metri saltati dal cubano Javier Sotomayor: un record che nel salto in alto resiste dal 1993.
Ecco, l’arrivo senza far rumore di Kelvin Kiptum ha improvvisamente fatto vacillare questo muro, facendo sembrare possibile un’impresa senza precedenti.
Prima di lui, questa sensazione l’aveva regalata Eliud Kipchoge, il più noto atleta e maratoneta keniano: il 12 ottobre 2019 Kipchoge aveva chiuso la Maratona di Vienna sotto le 2 ore (1h59'40"), ma il record non è stato omologato in quanto il percorso era appositamente predisposto e il keniota era stato “supportato” da 41 lepri - corridori che aiutano a tenere il passo all’atleta per una certa porzione di percorso - in gara.
Dalla puntata di A cosa penso quando corro?
D’altra parte, Kipchoge resta un grande campione: di 38 anni. In uno sport in cui sì, la maturità dell’atleta può arrivare anche molto tardi, ma se chi fa il record del mondo è un ragazzo di 23 anni nel pieno delle sue forze biologiche, c’è da preoccuparsi seriamente per il momento in cui la presunta maturità atletica arriverà.
Ritrovo in diversi indizi il segno di un passaggio di testimone tra Kipchoge e Kiptum. Nel ghigno di Eliud poco prima di mollare il gruppo di testa intorno al kilometro 30 della maratona di Boston, dove era atteso come super papabile.
Nell’irrefrenabile gioia di Kiptum al momento dell’arrivo a Chicago: salta, continua a correre, abbraccia tutti.
Correre a scuola
Il Kenya è l’autentica eccellenza nelle corse di atletica ad alto kilometraggio, insieme a Etiopia e Uganda. Attualmente, appartengono ad atleti keniani i record del mondo sugli 800 metri maschili, 1500 metri e 3000 siepi femminili e nella maratona maschile, mentre i due vicini africani si spartiscono i record sulle altre lunghe distanze.
La teoria secondo cui i Paesi centrali africani eccellono nella corsa poiché fin da piccoli corrono per andare a scuola sta a metà tra mito e realtà. Ciò che è vero è quanto contenuto in questo reportage de La Gazzetta dello Sport da Eldoret, all’inizio di quest’anno.
Eldoret è una delle città più grandi del Kenya: è vero che diversi bambini coprono molti km a piedi per recarsi a scuola in città, ma a questo si affianca una vera e propria centralità scolastica nell’educazione fisica. Come racconta Godwin, insegnante di un istituto primario, nelle scuole dedicano all’attività fisica almeno un’ora tutti i giorni.
Le testimonianze dei bambini che citano proprio Eliud Kipchoge come punto di riferimento mostrano come la corsa, in Kenya, sia un fatto sociale prima ancora che sportivo. Un orizzonte cui tendere per avvicinarsi ai propri miti sportivi, un viaggio per cercare un riscatto ma a piedi scalzi, quelli con cui spesso corrono i bambini.
Tanti bambini keniani, infatti, corrono fin da piccoli per tentare di emanciparsi dalla povertà. Eccellere nella corsa significa accedere a borse di studio, alla possibilità di andare all’estero. E a questo si affianca la passione per i propri beniamini sportivi: in Kenya chi corre ad altissimi livelli è un idolo nazionale.
Kalenjin
Concludo con un breve affondo sul perché il Kenya eccelle nella corsa. Non si hanno risposte scientifiche su questo, ma sembra che i motivi abbiano a che fare con la tribù Kalenjin: la maggiorparte delle medaglie olimpiche conquistate dal Kenya tra Seoul 1988 e Londra 2012 ha visto come protagonisti degli atleti di etnia Kalenji.
Ne ha scritto il giornalista David Epstein nel suo libro The Sports Gene: al suo interno, si parla in particolare della costituzione dei fisici della tribù Kalenjin. Gambe affusolate e caviglie più sottili della media sembrano confermare un vantaggio fisico per gli atleti keniani, dal momento che tra gli atleti di elitè le differenze di metodi o allenamento sono pressoché assenti.
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E per finire
La foto più aesthetically pleasing vista di recente:
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Il podcast da ascoltarti mentre sei in coda: Donne di Gloria, un podcast di Vois in cui si parla di cinque storie eccezionali di donne ai Giochi Olimpici.
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A presto!