La talpa dentro lo Stato
#73 Mappe - Argentina 🇦🇷: perché Javier Milei è arrivato al potere, come lo sta conservando. Tutti gli estremismi populisti della "talpa dentro lo Stato", con Federico Larsen.
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Capelli eccentrici, basette appariscenti, una motosega tra le braccia, idee ultraliberiste e di estrema destra. Potrebbe essere questa la fotografia più accurata di Javier Milei, uno dei volti più chiacchierati del mondo dalla fine del 2023, quando è diventato il nuovo presidente dell’Argentina.
Ma com’è possibile che un leader così estremista e istrionico abbia conquistato così tanti consensi? Dove nasce il suo successo, come sta proseguendo? E soprattutto, in quali condizioni versa l’Argentina?
Questo è il menù di oggi. Ne parliamo con un nuovo, gradito ospite di Mappe: Federico Larsen, giornalista italo-argentino e autore di Liberlandia, libro che tratta proprio dell’avvento dell’estrema destra nel Paese sudamericano.
La crisi del 2001
L’Argentina è immersa, oggi, in un grave scenario socio-economico: secondo il Social Debt Monitor della Pontificia Università Cattolica, il tasso di povertà ha raggiunto il 55% della popolazione. Un numero che a fine 2023, all’inizio della presidenza Milei, era pari al 49%.
Non è la prima volta che l’Argentina si trova immersa in una crisi severissima.
Bisogna tornare indietro di 23 anni, a una delle crisi economiche più importanti della storia. La sospensione del pagamento del debito estero annunciata dal presidente Adolfo Rodriguez Saà, la mancata svalutazione del peso argentino, il default. E poi un tasso di disoccupazione cresciuto del 20% nel giro di pochi anni, la metà della popolazione sotto la soglia di povertà, come possiamo osservare oggi.
Gli effetti di quel crac si sono propagati negli anni, e non hanno potuto che avere dei mastodontici effetti socio-politici.
Destra e sinistra
Come mi spiega Federico Larsen, il 2001 ha presupposto un cambio di tappa politica: dai vecchi partiti entrati in crisi a due nuove piattaforme, che si sono spartite lo scenario politico argentino nei decenni a venire.
Nel centro-destra nasce una nuova realtà legata agli imprenditori, alla piccola borghesia, a un pensiero liberalista e conservatore attraverso la figura di Mauricio Macri.
Nel centro-sinistra, invece, abbiamo assistito a un rinnovamento nel seno del peronismo - un sistema che si basa sulla centralità dello Stato, un vero e proprio movimento fondato dall’ex-presidente Juan Domingo Peròn, ndr - attraverso i coniugi Kirchner.
Entrambi i movimenti, nati in risposta al crac di inizio secolo, proponevano un grosso taglio con il recente passato politico ed economico del Paese.
E in ambedue i casi, le promesse non sono state mantenute nei rispettivi periodi al comando del Paese: anzi, nel ventennio successivo l’Argentina è entrata stabilmente a far parte dei tre Paesi al mondo con i picchi di inflazione più alti.
I Kirchner hanno governato per dodici anni, durante i quali il Paese ha attraversato sì una grande ripresa economica e industriale, ma anche una generalizzata corruzione negli apparati di governo, e un crescente disinteresse della classe politica verso gli elettori.
Nel caso di Mauricio Macri, è andata ancora peggio: aveva promesso la riduzione dell’inflazione e della povertà, ma la sua parentesi si è chiusa nel 2019 con 45 miliardi di debiti e un’inflazione ancor più aumentata.
Insomma: inflazione galoppante, classe politica sotto pressione e povertà dilagante sono i tre principali elementi che hanno portato grandi fette del Paese a covare del malcelato risentimento per qualsiasi esperienza politica.
La frase che conosciamo bene anche in Italia - “Qualunque nuova opzione sarebbe migliore” - ha iniziato a serpeggiare per le ventitré province argentine. E una nuova opzione, distante dal ventennio precedente, è arrivata.
Libertad Avanza
L’arrivo di Javier Milei è stato altisonante e rumoroso.
Cinquantaquattro anni e un passato da economista, ha salito rapidamente i consensi cavalcando l’onda del fallimento delle precedenti proposte politiche. Con toni aggressivi, rifiutando qualsiasi struttura o idea di partito e Stato: insomma, un discorso di stampo grillino, ma con connotati di estrema destra, conservatori e liberisti.
Si è auto-proclamato come la “talpa che distrugge lo Stato dal suo interno”, e anche pochi giorni fa ha ribadito uno dei suoi grandi mantra: lo Stato come male assoluto, gli imprenditori come polo positivo.
È tutta qui la logica che lo ha sospinto al potere, di fronte al fallimento di tutte le altre opzioni e anche di quella che - alle ultime elezioni - sembrava comunque la scelta più logica, quella di Sergio Massa.
Il primo anno al governo
Sono passati nove mesi dalla nomina di Javier Milei alla presidenza dell’Argentina, uno Stato presidenzialista e federale, diviso in due Camere su modello degli Stati Uniti.
Questa precisazione è fondamentale, per capire la centralità che ricoprono i ventitré Stati federali - province, in Argentina - e l’importanza di stabilire una forte connessione politica con i poteri locali.
Javier Milei, una volta al potere, è riuscito a mantenere quella forte impronta distruttiva e retorica anti-istituzioni?
Milei si è insediato dimostrando una grande ignoranza sul funzionamento politico del Parlamento: ha esordito con soli 37 deputati su 350 alla Camera, 7 senatori su 125 in Senato. Numeri che rendevano impossibile qualsiasi approvazione legislativa. Inoltre, è diventato subito evidente il forte gap tra la sua figura - un vero e proprio fenomeno nazionale - e il partito, Libertad Avanza, che nelle elezioni locali aveva perso pressochè ovunque.
La Legge Bases, approvata dopo mesi di discussioni, era stata presentata malissimo: sia in termini di scrittura che di proposta politica. Solo grazie al partito di Macri - oggi spaccato: una parte è entrata nel governo, l’altra lo appoggia dall’esterno - si è convinto di dover negoziare e concedere determinate misure e finanziamenti ai governatori locali.
Per il momento il suo programma sembra essere in linea con l’ideologia che l’ha guidato al potere, con la dovuta attenuazione: la riduzione drastica degli apparati statali, il deficit a zero - soltanto grazie allo spostamento di alcune scadenze di pagamenti - e la progressiva perdita di valore del peso argentino, per passare a un sistema quantomeno bi-monetario, con l’integrazione del dollaro.
Al momento sta portando avanti un piano da laboratorio, da libro di economia, ma i numeri reali non lo accompagnano, sebbene il tasso di inflazione mensile sia oggi sceso al 4%.
Ha dichiarato di rappresentare il miglior governo della storia del Paese, ma la produzione continua a crollare, i salari sono infimi e la classe media sta bruciando i risparmi accumulati da una vita. Tutti gli ammortizzatori sociali sono crollati: quando i risparmi finiranno, la situazione diventerà ancor più incandescente.
La scena internazionale
Nonostante un’ideologia estremista e antiprogressista - alcuni passaggi sono choc e sono ben riassunti in questo articolo -, la rabbia per il ventennio precedente è tale che, al momento, molti dei suoi elettori vedono Javier Milei ancora come unica salvezza, per non tornare all’impasse precedente.
Per strada non c’è mai stata così tanta povertà, ma il malcontento popolare non è ancora esploso, anche perchè non canalizzato dall’opposizione politica.
Milei sta certamente perdendo un certo tipo di consenso, ma in maniera non determinante: se si votasse oggi, probabilmente vincerebbe di nuovo. Non esistono movimenti sindacali e sociali che stanno trovando soluzioni efficaci: soltanto le manifestazioni universitarie dello scorso aprile sono riuscite a sortire qualche effetto e cambiamento, per la legge sull’educazione.
In questo contesto, sono poche le tematiche internazionali ed extra-argentine che possono rappresentare un elemento fondamentale e influente per il Paese, soprattutto per le fasce sociali più soggette alla crisi.
L’unico attore internazionale che potrebbe influire sull’andamento del Paese è il Fondo Monetario Internazionale (FMI): ad esso si lega, inevitabilmente, anche il risultato delle elezioni negli USA, che all’interno del Fondo posseggono la quota più alta di voti (circa il 16%).
Milei ha fortemente bisogno che vinca Donald Trump, per un possibile prestito dal FMI sul solco di quello, pari a 57 miliardi di dollari, ricevuto dall’ex-presidente Macri proprio nel 2018.
Tutte le altre questioni internazionali, al momento sono in secondo piano: la stretta relazione tra Milei ed Elon Musk, i rapporti con il Venezuela o il Brasile di Lula. Più della metà della popolazione non ha la certezza di avere un piatto da mangiare ogni giorno, la classe operaia non va più in vacanza: le priorità sono altre.
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E per finire
La foto più aesthetically pleasing vista di recente:
Alcuni articoli letti in questi giorni: quanto (non) ci mancheranno le gaffe dell’ex-ministro Sangiuliano su ll Post; Bologna è diventata una City of Food su Lucy Sulla Cultura; i gruppi ultras stanno benissimo su Rivista Undici; l’Africa ai piedi di Pechino su Internazionale.
L’episodio di Mappe da rileggere: dopo l’Argentina, torniamo qualche km più a ovest. In una delle mie puntate preferite si parla di Cile, un Paese dove si trovano le maggiori riserve mondiali di litio, in un triangolo formato da Argentina e Bolivia.
Il podcast da non perdere: Feroce - L’ultima notte di Pasolini, un podcast che ripercorre una delle figure più influenti dell’Italia del Dopoguerra.
Qualche settimana dopo
Una nuova mini-rubrica in cui, dopo un po’ di tempo, facciamo un follow-up su uno dei Paesi e temi trattati nelle precedenti puntate.
A inizio aprile, avevamo parlato di India insieme a Silvia Boccardi, giornalista di Will Media. Abbiamo ripercorso la controversa figura di Narendra Modi e parlato delle elezioni politiche più mastodontiche del mondo: si sono concluse a inizio giugno, dopo ben sei settimane, e hanno regalato alcuni spunti interessanti.
Narenda Modi non ha raggiunto la maggioranza assoluta, e dunque dovrà scendere a patti con il National Democratic Alliance (Nda); anche il partito dell’opposizione guidato da Rahul Gandhi ha chiuso le elezioni con un ottimo risultato.
La notizia è che, in questo terzo mandato, Modi dovrà dialogare maggiormente con gli altri interlocutori politici e smussare i propri lati conservatori e dittatoriali, come si analizza in questo articolo.
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