Il tuo jeans probabilmente si trova in Ghana
#84 Mappe - Ghana 🇬🇭: un Paese dove ogni settimana giungono 15 milioni di vestiti, probabilmente anche i tuoi jeans. L'emergenza fast fashion e il colosso Shein, con Micol Sarfatti.
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Ci sono volute più di ottanta puntate, e finalmente arriva su Mappe anche l’emergenza fast fashion. O meglio, l’ultra fast fashion e tutto ciò che ne consegue.
Ne parliamo con Micol Sarfatti, giornalista del Corriere della Sera e ospite della prima puntata di dicembre.
L’ultra fast fashion
Pochi giorni fa, una foto postata dall’account Instagram del Corriere della Sera ha presentato, in maniera eloquente, dove finiscono i nostri vestiti.
Una mucca che passeggia sopra una montagna di vestiti abbandonati è il simbolo dell’intera catena di montaggio chiamata ‘fast fashion’: la moda veloce, una produzione di collezioni e vestiti caratterizzata da rapidità e bassi costi.
Come mi spiega Micol Sarfatti - che ne ha scritto in questo articolo - da qualche anno siamo giunti a una nuova sfaccettatura: l’ultra fast fashion. Di cosa si tratta?
Una media di 300.000 nuovi capi prodotti ogni anno, 2.700 litri d’acqua consumati per una singola t-shirt di cotone. L’ultra fashion è una filiera della moda che produce senza sosta, a prezzi ancora più bassi del fast fashion. Il termine ‘ultra’ si riferisce alla produzione, per l’appunto, ultra-veloce; il fast fashion, annualmente, realizza meno collezioni.
Il colosso cinese Shein
Il portabandiera del concetto di ‘ultra fast fashion’ è Shein: un marchio di moda cinese, registrato soltanto nel 2012, e diventato rapidamente il simbolo di una produzione serratissima di vestiti e collezioni. A basso prezzo, in condizioni più che discutibili, con impatti naturali devastanti.
Da questo reportage di Lifegate sembra che Shein produca più di un milione di capi in dodici mesi, in confronto ai 35mila di Zara. Sono numeri da capogiro - oggi affiancati da quelli di Temu -, realizzati attraverso una filiera con diverse falle nel sistema:
Shein ha un sistema di produzione suddiviso in 700 fabbriche nella provincia cinese di Guangzhou, per un fatturato di 45 miliardi di dollari nel 2023.
Non ha un solo punto di vendita fisico, e ci sono diverse perplessità in merito alla sua attività, che in molti inquietanti aspetti sfugge ai regolamenti presenti in Unione Europea.
Ad esempio, si parla da anni di come la maggioranza dei capi realizzati da Shein sia composta da poliestere: un materiale che in fase di smaltimento rilascia ancora dei residui di plastica. Inoltre, sono diverse le sostanze pericolose che si ritrovano nei capi di Shein, e che superano i limiti di legge consentiti.
Shein, come altri membri dell’ultra fast fashion, si contraddistingue per l’utilizzo dei PFAS: sostanze chimiche che rendono più duraturi i materiali impiegati.
Sono vietate dall’Unione Europea ma continuano a essere presenti sui capi venduti da Shein: la produzione è in Cina, e la comunicazione di Shein è decisamente opaca in tal senso. Allo stesso tempo, Shein - ma anche Zara, H&M e altre multinazionali - sono in prima linea sul tema del greenwashing.
Kantamanto e Kpone
Poliestere e sostanze pericolose ci portano direttamente in Africa, in Ghana. Un Paese dell’Africa Occidentale che affianca la Costa d’Avorio e annovera circa 34 milioni di persone.
In questo articolo del 2022, Micol Sarfatti aveva intervistato per il Corriere della Sera Maxine Bédat, autrice del libro “Il lato oscuro della moda. Viaggio negli abusi ambientali (e non solo) del fast fashion)”.
Attraverso il libro, l’autrice ci porta a scoprire quello che è l’intero percorso di un capo d’abbigliamento - in questo caso, un paio di jeans - all’interno della filiera del fast fashion.
Ecco, la destinazione è molto spesso Accra, la capitale del Ghana.
Come riporta Greenpeace, ogni settimana in Ghana arrivano 15 milioni di vestiti. Una delle destinazioni principali è Kantamanto: il secondo mercato di vestiti di seconda mano più grande del Ghana e il più grosso della capitale.
Nonostante le sue dimensioni, nemmeno Kantamanto riesce a “digerire” una mole così ingente: quasi la metà dei vestiti non trova acquirenti, e così i rifiuti tessili finiscono per formare una delle tante discariche a cielo aperto presenti sulle coste ghanesi.
La più famosa di queste si chiama Kpone, e il tragico risultato è la foto che abbiamo visto in apertura.
Il Ghana è testimone del grande squilibrio tra Nord e Sud del mondo, oltre a rappresentare l’ennesima presa di potere cinese - attraverso un marchio come Shein - sul continente africano.
Anche in un Paese popoloso come il Ghana, i mercati non assorbono le tonnellate di vestiti che arrivano dall’estero - senza uno schema legislativo internazionale -. Non c’è solo l’impossibilità di smaltimento, che comunque prevede l’utilizzo di rifiuti tossici: si parla anche di idrocarburi e del già citato poliestere.
Le immagini che arrivano da un reportage del Guardian in Ghana ne sono la testimonianza:
L’altro, grande destinatario mondiale di capi di seconda mano è il Cile: nel deserto di Atacama sono presenti più di 40.000 tonnellate di vestiti.
Cosa possiamo fare?
L’Italia è tra i maggiori esportatori globali di vestiti di seconda mano: il nono mondiale, il terzo in Europa.
La responsabilità e dell’intero Paese e dei suoi cittadini, e quindi di tutti noi. La sensibilità e la sensibilizzazione di ogni singolo consumatore fa la differenza, così come deve accadere di fronte al clima: non da spettatori, ma da attori protagonisti.
I 2.344 “tentacoli” di spiaggia ricoperti di vestiti di seconda mano che, nelle vicinanze di Accra, si riversano nel mare sono però da affrontare in maniera sistemica, come suggerisce anche Micol Sarfatti:
Le regolamentazioni dell’UE in merito alla produzione riguardano solo ciò che avviene all’interno dell’Europa. Servirebbe sicuramente una regolamentazione internazionale, che passa dunque attraverso Paesi e continenti diversi: un orizzonte molto difficile.
La comunità internazionale dovrebbe anche accordarsi, nel caso del Ghana, per fornire strumenti che sostengano l’industria tessile del Paese, che al momento dipende esclusivamente dai volumi derivanti dall’estero, a loro volta da ridurre.
Si ritorna, inevitabilmente, alla responsabilità personale.
Il tema del fast fashion è - paradossalmente - decisamente sentito da parte delle generazioni più giovani. Le stesse che garantiscono i numeri totalizzati da un colosso come Shein su Tiktok e Instagram, e che magari finiscono per comprare quel capo di Shein condiviso da un influencer proprio sulla piattaforma social cinese.
Si può fare di meglio, partendo dal singolo: comprando meno capi d’abbigliamento nuovi, da realtà più sostenibili e dando maggior risalto alle piattaforme di second-hand.
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E per finire
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Alcuni articoli letti in questi giorni:
il racconto molto accurato di Mariano Giustino sui ribelli jihadisti e la conquista di Aleppo, in Siria, su Huffington Post
Valentina Tonutti e la sua newsletter Fuori dal PED parlano di Bluesky, un Twitter wannabe con meno logiche algoritmiche, e ancora pochi utenti. Se vuoi, c’è anche il mio profilo
Nicolas Lozito e la sua newsletter Il colore verde parlano, invece, del “congedo climatico” introdotto dal governo spagnolo
La puntata di Mappe da rileggere: una puntata che era molto piaciuta, sulla Mauritania 🇲🇷 e il cosiddetto treno del ferro, il treno più lungo del mondo.
Il podcast da ascoltare mentre sei in coda: io mi sono commosso, quindi fallo anche tu ascoltando i 6’ in cui Luca Bizzarri parla della scomparsa del suo cane Smog:
Qualche settimana dopo
Una nuova mini-rubrica in cui, dopo un po’ di tempo, facciamo un follow-up su uno dei Paesi e temi trattati nelle precedenti puntate.
Mi sembra utile riportare in auge la puntata sulla Georgia 🇬🇪, un Paese che abbiamo descritto come scisso tra la volontà di unirsi all’Unione Europea e il partito filorusso Sogno Georgiano, vincitore delle ultime elezioni presidenziali.
Da ormai un anno, la porzione di popolo che guarda verso Occidente scende quasi quotidianamente in piazza a protestare. Succede anche in questi giorni, in seguito ai ritardi con cui Sogno Georgiano si sta approcciando ai negoziati di adesione all’UE.
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Grazie e a presto!
Grazie per questo articolo.
E grazie anche per il repost sull’articolo della Mauritania che corro a leggere. Quel treno è la mia ossessione.
Grazie di cuore per la menzione!