Quattro giorni in Corea del Nord
#96 Mappe - Corea del Nord 🇰🇵: il racconto non di un viaggio, ma di un'esperienza. Intrisa di propaganda e finzione. Con Reda Lahli.
Ciao, buon lunedì!
Stai per leggere la 96ma puntata di Mappe, la newsletter che ti parla di storie, culture e persone. Rigorosamente un Paese alla volta, ogni lunedì.
Sarà - anzi è - una puntata speciale: a tre anni dalla sua nascita, Mappe ha raggiunto 2.000 iscritti.
Festeggiamo questa ricorrenza con quella che sarà - anzi è - una delle puntate che più mi è piaciuto scrivere: nasce dall’apertura delle frontiere da parte della Corea del Nord 🇰🇵 dopo ben cinque anni e da una preziosa chiacchierata con Reda Lahli, coordinatore di viaggio di SiVola e uno dei pochissimi fortunati ad aver avuto accesso al Paese asiatico, nelle settimane in cui le frontiere si sono aperte ai turisti occidentali.
Prima di iniziare: se ti va, puoi consigliare Mappe al tuo barista di fiducia. Quello a cui chiedere “il solito, grazie!” ogni lunedì mattina.
Isolazionismo
La Corea del Nord è il Paese più isolazionista del mondo, uno di quelli dove il regime vigente - quello del leader supremo Kim Jong-Un - è drasticamente autoritario e repressivo.
Per capire l’eccezionalità di riuscire a entrare nel Paese asiatico e vederne la fisionomia dall’interno, basta inanellare qualche dato:
figura agli ultimi posti, da anni, nella classifica mondiale sulla libertà di stampa redatta da Reporters without Borders.
è al terzultimo posto del Democracy Index redatto dal The Economist, superata soltanto da Afghanistan e Myanmar.
dal 2020 aveva totalmente chiuso le frontiere in seguito alla pandemia da Covid-19, per cinque anni interi di completo isolazionismo.
Un viaggio per pochi
Tutte le foto che vedrai da qui in poi sono state scattate proprio da Reda Lahli nei quattro giorni di soggiorno - dal 3 al 6 marzo - in Corea del Nord. In realtà, il viaggio si è limitato attorno a Rasŏn, una città autonoma che rimane nell’estremità settentrionale del Paese, a pochi passi da Cina e Russia.
La possibilità di partecipare a questo viaggio nasce quasi per caso, ed è soprattutto estesa a pochissimi: tra questi, riescono a essere “accettati” dal regime nordcoreano proprio Reda e Nicolò Balini - in arte Human Safari, lo youtuber di viaggio più seguito d’Italia e co-fondatore di SiVola.
Non parto dall’inizio del viaggio, ma dall’immagine più toccante che mi ha regalato il racconto da parte di Reda:
Quando abbiamo lasciato l’hotel per l’ultima volta, prima di tornare verso il confine con la Cina, tutti i dipendenti dell’albergo sono usciti sulle scale d’ingresso e ci hanno salutati, come in una scena da film. È come se un’intera nazione si sia resa disponibile e prestata - per pochi giorni - a una recita complessiva.
L’ingresso in Corea del Nord
Il propagandismo è il principale filo rosso attorno a cui si è mosso il viaggio dei due membri di SiVola; inoltre, il gruppo di 25 persone di cui hanno fatto parte è stato l’ultimo a uscire dalla Corea del Nord prima che il regime decidesse di richiudere le frontiere, per motivi ancora ignoti.
Il viaggio nasce in maniera quasi casuale e parte dalla città cinese di Yanji: 400.000 abitanti, un distretto a statuto speciale distante una manciata di chilometri dal confine con la Corea del Nord.
È proprio Reda a spiegarmi come è nato questo viaggio indimenticabile:
Il nostro viaggio non è stato organizzato da Koryo Tours, come successo con i primissimi tour di fine febbraio, ma con un’altra agenzia. Quando Nicolò mi ha avvisato della possibilità di applicare attraverso l’agenzia di viaggio adibita mi trovavo in Senegal: nel giro di poche ore abbiamo prenotato i voli e inviato i documenti alle autorità nordcoreane.
Siamo rimasti nell’incertezza più totale fino a circa dieci giorni prima della partenza: solo in quel momento abbiamo saputo che avremmo potuto raggiungere Yanji.
Una volta arrivati nell’hotel di Yanji scelto come punto di ritrovo, abbiamo pagato il resto del tour e il giorno prima dell’ingresso in Corea del Nord abbiamo partecipato al briefing pre-partenza.
Regole
Prima di arrivare all’ingresso in Corea del Nord, è giusto sottolineare quanto fosse fondamentale rispettare pedissequamente le regole di un Paese così autocratico e repressivo.
Basti pensare al caso che coinvolse Otto Warmbier, cittadino e studente statunitense che era stato arrestato all’aeroporto di Pyongyang il 2 gennaio 2016, accusato di aver tentato di rubare un poster della propaganda nordcoreana appeso nel corridoio dell’hotel in cui alloggiava. Condannato a quindici anni di lavori forzati, venne poi liberato dal regime nordcoreano dopo più di un anno e, rientrato in USA, morì pochi giorni dopo senza mai riprendersi dallo stato comatoso in cui versava.
Fin da subito ci hanno chiesto di cancellare dai telefoni qualsiasi cosa potesse risultare ambigua per il regime nordcoreano. Il messaggio sottinteso era quello di “non fare gli eroi”: ospiti di un Paese con determinate leggi, avremmo dovuto semplicemente rispettarle.
Il giorno successivo, suddivisi in due autobus - rispettivamente da 14 e 11 persone - abbiamo raggiunto il confine tra Cina e Corea del Nord. Ancor prima di superarlo abbiamo dovuto superare diversi checkpoint e numerosi controlli: per la sola presenza di due gemelli polacchi nel nostro gruppo abbiamo dovuto attendere circa due ore.
Al confine nordcoreano ci hanno chiesto di redarre una lista dei dispositivi elettronici che avevamo con noi: ad esempio non sapevo se avrei dovuto includere per sicurezza il mio Kindle, ma in realtà non era necessario.
Propaganda
Fin da subito, le guide nordcoreane e i primi luoghi visitati - una volta superato il confine - hanno restituito un’immagine quasi goliardica dell’esperienza.
Per ogni autobus sono salite due guide, che ci hanno ripreso con i telefoni per tutta la durata del viaggio: hanno descritto la Corea del Nord con i migliori aggettivi possibili, e ci hanno vietato di fotografare “cose brutte” così come qualsiasi figura di Kim Jong-Un e dei suo antenati.
Mi ha colpito moltissimo non sentir parlare della Corea del Sud, quando le guide ci raccontavano dei confini del Paese: per loro esistono solo quelli con Russia e Cina.
Pur essendo una delle poche professioni nordcoreane a contatto con l’estero, anche le guide del gruppo sembravano totalmente distanti da qualsiasi informazione su ciò che avviene fuori dal Paese.
È una dinamica emersa anche nella famosa serie di video con cui il canale Progetto Happiness aveva raccontato i giorni a Pyongyang a fine 2019, poco prima che le frontiere chiudessero: anche in quel caso, le guide di viaggio erano apparse come il simbolo della chiusura ermetica che contraddistingue la Corea del Nord.
Quasi la totalità della popolazione nordcoreana ha accesso a una rete intranet denominata Kwangmyong, le cui informazioni sono totalmente filtrate dal regime.
Le uniche persone con cui ho comunicato in inglese sono le guide, anche perché non ci hanno mai lasciato da soli.
A una di esse ho provato a fare diverse domande nell’ultimo giorno disponibile: l’ho dovuta informare io del fatto che fossero stati inviati dei soldati nordcoreani (ne abbiamo parlato in questa puntata, ndr) in Ucraina, e non poteva credere alla notizia della cattura di alcuni di loro. Sono assolutamente estraniati da qualsiasi notizia di politica estera.
L’unico aspetto che ho intravisto è una sorta di tristezza nei loro occhi: tanti settori del Paese càmpano di turismo, e per cinque anni è stato completamente assente.
Finzione
Oltre al propagandismo, la principale sensazione che mi lascia il viaggio descritto da Reda è quella di un’esperienza plastica e finta, resa volutamente tale da parte del regime nordcoreano.
Appena entrati nel Paese, il gruppo è stato portato a vedere delle semplici case abitate da contadini, descritte come eccezionali e donate in maniera esemplare dal regime.
Qualche giorno dopo, l’entrata in una fabbrica in cui risuonavano canzoni di propaganda. E ancora, la visita in una scuola in cui i bambini hanno accolto il gruppo di turisti con la scritta “We are happy” sulla lavagna: l’emblema di un continuo slogan studiato nei minimi dettagli.
Nulla di quello che abbiamo visto o fatto mi è sembrato spontaneo: in qualsiasi cosa si rivedeva la preparazione maniacale con cui hanno atteso questo momento, dopo cinque anni. La richiusura delle frontiere accade perché probabilmente non tutto è andato secondo i piani.
A volte mi sembrava di essere in un misto tra Black Mirror e The Truman Show: mi chiedevo spesso se quello che vedevo e i conseguenti pensieri erano dettati dal fatto che qualcosa non tornasse, o perchè ero influenzato da quanto sapevo prima di entrare nel Paese.
La città di Rasŏn
I giorni tra il 3 e il 6 marzo, di fatto, si sono svolti nei pressi della cittadina nordcoreana di Rasŏn: fa parte di una zona economica speciale, ed è l’unica nel Paese che può fare affari con l’estero.
Dal porto di Rasŏn parte, ogni settimana, una nave carica di armi in direzione di Vladivostok: deposita lì il carico e poi ritorna in patria.
Anche l’arrivo nella città prescelta per ospitare la temporanea riapertura non si è distanziato da elementi di finzione e propaganda: pasti serviti in sale addobbate come se fosse un matrimonio, piatti preparati da diverse ore e serviti freddi, una prima tappa in banca in cui per soli quattro euro i turisti hanno potuto aprire un conto corrente nordcoreano, che ovviamente non sarebbe servito a nulla.
Non solo, in quell’occasione le guide ci hanno invitato a non cambiare troppi soldi, per via del cambio estremamente sfavorevole con l’euro: l’economia attuale è decisamente fragile.
Nei tre giorni in città, abbiamo sempre percorso le medesime strade: i diversi tragitti sono stati studiati in maniera maniacale, di modo che vedessimo sempre le stesse aree della città ma attraverso momenti e percorsi differenti. Nella principale piazza pubblica c’era uno schermo che trasmetteva della musica - chiaramente propagandista - che andava avanti per ore.
Lo stesso hotel in cui abbiamo alloggiato era totalmente fuori contesto: dalla camera in cui alloggiavamo io e Nicolò vedevamo la gente che normalmente andava al lavoro, e non si intravedeva alcun elemento vagamente brutto. Non penso ci fossero delle camere di videosorveglianza in camera, ma appena uscivamo eravamo subito attesi dalle guide.
Anche gli incontri con alcune persone nordcoreane, nei giorni di permanenza, sembravano studiati a tavolino:
Ho avuto la fortuna di andare da una parrucchiera: non avevo modo di scambiare parole con lei o altre persone, sembravano tutti dei personaggi appartenenti a un videogioco con i quali non puoi nè interagire nè parlare.
Mi ha stupito, un altro giorno, vedere una bambina con un fucile di legno in mano: fin da piccoli i bambini sono abituati a trasportare degli oggetti a forma di kalashnikov, ma mi è stato vietato di fotografare quest’istantanea.
Come mi conferma Reda, quello a cui ha avuto accesso non è stato un semplice viaggio. Meglio parlare di un’esperienza a sé stante, intrisa di propagandismo ed elementi di finzione accuratamente selezionati per cinque anni:
Di solito i viaggi si catalogano in belli e brutti, piacevoli e non piacevoli: qui si parla d’altro. Tre notti in Corea del Nord valgono come trecento notti da altre parti: la sensazione che mi porto a casa è quella di un regime apparentemente inscalfibile, che non muterà per diverso tempo.
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E per finire
La foto più /aesthetically pleasing/ vista di recente:

La puntata di Mappe da rileggere: quella su Gibuti 🇩🇯, per capire meglio il peso geopolitico dell’area attorno allo Yemen e allo stretto di Bāb el-Mandeb.
Alcuni articoli letti in questi giorni:
Il ritratto dell’Argentina odierna della giornalista Dolores Alvarez, su Il Post
Il senso dell’Europa e il senso di un’Europa che si arma, su Internazionale
L’assenza dell’Unione Europea nella corsa all’AI, su Lucy sulla Cultura
La Corea del Nord e la maratona di Pyongyang, nella newsletter ACPCQ?
Il podcast da ascoltare mentre sei in coda: questa puntata di Orazio, il podcast di storie condotto da Matteo Caccia per Il Post. Parla di Groenlandia, ormai il mio argomento preferito.
Qualche settimana dopo
Una nuova mini-rubrica in cui, dopo un po’ di tempo, facciamo un follow-up su uno dei Paesi e temi trattati nelle precedenti puntate.
La foto più /aesthetically pleasing/ che hai appena visto racconta il grosso malcontento che si è diffuso in Argentina 🇦🇷 per gli estremismi populisti di Javier Milei.
Autoproclamatosi come “la talpa dentro lo Stato”, per distruggerne le fondamenta dall’interno, il presidente argentino è il bersaglio di proteste che da mesi uniscono pensionati, tifosi di calcio e simpatizzanti di sinistra. In queste settimane, le proteste per le pensioni si stanno acuendo di pari passo con una situazione di povertà sempre più dilagante.
Sempre da qualche settimana, un nuovo documento pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ha stabilito di utilizzare i termini “ritardati”, “idiota”, “imbecille” per definire le persone con disabilità cognitive.
Avevamo parlato di Javier Milei insieme al giornalista italo-argentino Federico Larsen.

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Grazie e a presto!
Articolo molto interessante che lascia davvero tanta tristezza. Grazie aver documentato con cura e con dovizia di particolari la vita dei nord coreani.
Congratulazioni per i tuoi 2000 iscritti. Te ne meriti almeno altri 10mila!