Il trampolino cinese in Africa
#83 Mappe - Gibuti 🇩🇯: l'unico Paese al mondo in cui la Cina ha aperto una base militare estera. A 13 chilometri da quella statunitense.
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In un ascendente climax di simpatia e convivialità, non possiamo non menzionare Gibuti. Uno dei Paesi più piccoli dell’Africa, con una capitale che di nome fa: Gibuti.
Corno d’Africa
Gibuti è un piccolo Paese africano incastonato in quello che è comunemente conosciuto come Corno d’Africa tra Etiopia e Somalia, due degli attori più coinvolti del continente in guerre e conflitti.
Le sue coste guardano direttamente a est, verso lo Yemen, dove il gruppo di miliziani sciiti Houthi si è direttamente infilato nella questione israelo-palestinese per via degli ingenti finanziamenti che riceve dall’Iran.
Insomma, non il migliore dei contesti geopolitici in cui trovarsi: il Corno d’Africa è uno dei teatri di instabilità più grandi del continente.
Inoltre, i sei Paesi - Gibuti, Eritrea, Somalia, Etiopia, Sud Sudan e Sudan, della cui guerra civile abbiamo parlato qui - che compongono l’area contengono duecento milioni di persone immerse in grave povertà.
Stando al Global Humanitarian Assistance report, tra i 400 milioni di persone al mondo che necessitano di assistenza umanitaria, ben 38 sono presenti in Etiopia, il primo Paese a classificarsi in una graduatoria in cui troviamo anche Yemen - 23 milioni -, Sudan - 15 milioni - e Sud Sudan - 12 milioni -. Nel Corno d’Africa si concentra circa il 20% dei bisogni di aiuto umanitario nel mondo.
La Cina in Africa
Tra alcuni dei temi ricorrenti che ci hanno portato alla 83ma puntata di Mappe, c’è sicuramente l’ingerenza cinese in giro per il mondo, e soprattutto nel continente africano.
Ad esempio, nella puntata sul Congo avevamo parlato del quasi totale controllo finanziario cinese sulle miniere estrattrici di cobalto, un materiale fondamentale nella transizione alla mobilità elettrica. Così come la Cina è il principale partner del Cile per l’esportazione di litio, un altro materiale cruciale per la mobilità elettrica.
Gli investimenti cinesi in Africa fanno parte della Belt and Road Initiative, il progetto con cui la Cina - da più di un decennio - vuole ripensare collegamenti e partnership commerciali con più di cento Paesi nel mondo. Come dimostrano le parole di Xi Jinping nell’ultimo Forum triennale sulla cooperazione tra Cina e Africa (Focac), gli investimenti sono al centro anche delle future strategie del colosso asiatico:
Cina e Africa pesano per circa un terzo della popolazione mondiale. Senza la nostra modernizzazione, non può esistere una modernizzaione globale. Nei prossimi tre anni, la Cina lavorerà al fianco dell’Africa attraverso dieci progetti di partnership, per rafforzare la cooperazione tra Cina e Africa e guidare la modernizzazione del Sud globale.
Dieci progetti di partnership con cui la Cina vuole proseguire una “cooperazione” che in realtà è più assimilabile al concetto di soft power, dove è Pechino a essere irrinunciabile per i partner africani e non viceversa.
In un periodo storico, inoltre, in cui le attenzioni degli USA sono altrove: l’ultimo presidente americano a essersi recato in Africa è stato Barack Obama, nel 2015.
Per questo, a fianco di investimenti diretti e importazione di materie prime dai ricchi territori africani - come riporta un’iniziativa di ricerca della Johns Hopkins, gli investimenti esteri diretti da parte della Cina hanno superato di gran lunga quelli degli USA in Africa -, il soft power cinese in Africa si sta strutturando anche attraverso altre risorse.
Come scrive ISPI, ci sono più di 5.000 insegnanti cinesi inviati in Africa e la stessa Cina è diventata una delle mete più ambite per gli studenti africani. Anche queste strategie culturali, oltre agli investimenti diretti in edilizia e settore minerario, a prestiti che rendono oggi diversi Paesi africani estremamente debitori della Cina, concorrono nel rendere il soft power totalizzante.
Trampolino sul continente
Nel suo punto più ravvicinato, lo stretto Bāb el-Mandeb separa Gibuti dallo Yemen e la penisola arabica con soli 40 km di mare: se guardiamo alla sua posizione geografica, non si può che interpretarlo come “cugino” meno famoso del canale di Suez.
Lo stretto è infatti la porta d’ingresso del Corno d’Africa e collega l’Oceano Indiano con il Mar Rosso, e poi il canale di Suez più a Nord. Attorno a quest’area geografica si sviluppa circa il 12% del traffico commercio mondiale e passano oltre 4 milioni di barili di petrolio ogni giorno.
Soprattutto, attorno a quest’area geografica si sviluppano le attenzioni di tutti i grandi attori mondiali.
Ti ricordi degli Houthi menzionati poco fa? Ecco, proprio il gruppo yemenita ha orchestrato una serie di attacchi alle navi mercantili che passavano nello stretto di Bab el-Mandeb sul finire del 2023.
Per questo Gibuti, Paese con meno di un milione di abitanti, ha rappresentato il primo trampolino africano per la Cina ed è al centro degli interessi internazionali.
Sei anni fa, Gibuti è diventato il primo - e ancora unico - avamposto militare all’estero della Cina. Sullo stesso territorio, a soli 13 km dalla base cinese troviamo quella degli USA, Camp Lemonnier: i due pesi massimi del globo che si ritrovano a Gibuti, a pochi chilometri l’uno dall’altro.
Oltre a loro, a Gibuti si trovano anche le basi militari di Francia, Giappone e Italia.
Crocevia fondamentale tra l’Oceano Indiano, Mar Rosso e Mar Mediterraneo, Gibuti è un partner fondamentale per la Cina - come scrive Limes - non solo in ambito militare, ma anche commerciale.
Proprio a Gibuti rivediamo i tratti fondamentali del soft power cinese: la Cina è il più grande creditore di Gibuti, con un debito che ha superato il miliardo di dollari.
L’investimento cinese più ingente ha riguardato la costruzione della ferrovia che collega il porto gibutiano di Doraleh con Addis Abeba, capitale dell’Etiopia. Costruita tra 2011 e 2016 da due compagnie cinesi di edilizia e ferroviaria e finanziata da tre banche cinesi, dall’anno della sua apertura la ferrovia ha mosso un volume di 7.700 treni e merci e quasi 700.000 viaggiatori.
Costata 4 miliardi di dollari, quest’anno la ferrovia è stata ceduta da Civil Engineering Construction Corporation (CCECC) e Chinese Railway Construction Corporation (CRCC) ai governi di Etiopia e Gibuti, per i timori derivanti dall’attività degli Houthi nel Mar Rosso.
Quest’ultimo capitolo è in realtà un’eccezione di come, solitamente, la Cina prosegue i suoi investimenti sul territorio. Oltre alla ferrovia, è in fase di realizzazione uno spazioporto che per i primi trent’anni verrà gestito dal Hong Kong Aerospace Technology Group Ltd (Hkatg), che ha contatti diretti con gli apparati cinesi.
Il crescente volume di prestiti e finanziamenti, però, non fa che aumentare il volume del debito di Gibuti nei confronti della Cina.
Se Gibuti dovesse divenire un punto di controllo mondiale ancor più strategico, non è scontato che un Paese così piccolo e povero riesca a garantire l’equidistanza dagli interessi stranieri che resiste ora e - soprattutto - una stabilità economica.
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La puntata di Mappe da rileggere: sul muro delle due ore nella maratona e sul Kenya 🇰🇪, il Paese che corre più veloce di tutti.
Il podcast da ascoltare mentre sei in coda: una puntata interessantissima di un podcast già consigliato da Mappe. Su Globo - podcast de Il Post con Eugenio Cau - si parla di città e turismo con l’ex sindaca di Barcellona Ada Colau:
Qualche settimana dopo
Una nuova mini-rubrica in cui, dopo un po’ di tempo, facciamo un follow-up su uno dei Paesi e temi trattati nelle precedenti puntate.
Circa un anno fa, su Mappe avevamo parlato delle elezioni politiche in Polonia 🇵🇱 insieme a Micol Flammini: dalle elezioni è emersa come vincitrice una coalizione di centro-destra, guidata da Donald Tusk.
A un anno di distanza, la Polonia si appresta a vivere - la prossima primavera - le elezioni per la presidenza della Repubblica. Il ruolo è oggi occupato da Andrzej Duda, esponente del partito di estrema destra Partito e Giustizia, e il partito di Donald Tusk mira a vincere anche la prossima tornata elettorale.
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