Semestre nero
#67 Mappe - Ungheria 🇭🇺: Viktor Orban alla guida del Consiglio Europeo per i prossimi sei mesi. I problemi del voto all'unanimità e quelli di un Paese illiberale.
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Un anno fa, usciva la 34ma puntata di Mappe: insieme a Lorenzo Pregliasco, tra i più noti analisti politici, parlava di Spagna e delle elezioni amministrative che avevano visto la vittoria del Partido Popular di centro-destra.
Da un anno a questa parte, e fino alle elezioni di europee di un mese fa, si è tanto parlato del cosiddetto “vento della destra”. L’intero panorama politico europeo dell’ultimo decennio ha visto una consistente svolta a destra, coinvolgendo la maggioranza dei Paesi dell’Unione Europea.
Con il tema dei movimenti migratori e della loro integrazione a fungere da principale volano, i diversi gradi di conservatorismo accomunano oggi gran parte dei Paesi UE.
Capita, poi, che in una sola settimana ci siano alcune circostanze che si allineano e mostrano che un’altra tendenza è possibile:
il secondo turno in Francia che premia il ‘barrage’ contro Rassemblement National, partito di estrema destra francese;
l’elezione di Keir Starmer, leader dei Labour che tornano a governare l’Inghilterra dopo quattordici anni;
la rottura tra Vox - partito di estrema destra - e Partido Popular in Spagna: Santiago Abascal ha annunciato che Vox abbandonerà la coalizione con PP in cinque comunità autonome spagnole.
Non sappiamo ancora se rimarranno degli esempi isolati, ma hanno interessato tre dei Paesi più importanti del nostro continente e quindi sono degni di nota. Per ironia della sorte, sono tutti accaduti all’inizio del semestre in cui sarà l’Ungheria 🇭🇺 a guidare la presidenza del Consiglio dell’Unione Europea.
Il voto unanime
Se segui Mappe fin dai suoi primi passi, saprai che l’unanimità del voto all’interno delle istituzioni europee è una delle sue grandi passioni. Anzi, sarebbe meglio definirla come uno dei grandi crucci attorno a cui si sono annodate le precedenti puntate.
Partiamo dalle basi. L’Unione Europea è divisa in quattro unità amministrative: il Parlamento Europeo direttamente eletto dai cittadini, il Consiglio Europeo formato dai capi di Stato dei membri dell’UE, il Consiglio dell’UE che detiene il potere legislativo dell’Unione, e la Commissione Europea, l’organo esecutivo.
Il Consiglio Europeo necessita di un voto unanime per deliberare delle decisioni su questioni sensibili per gli Stati membri. Proprio su queste ultime, negli ultimi anni si sono verificate delle grosse battute d’arresto.
Da un lato ci sono Polonia e Ungheria, membri dell’UE che desiderano confermare questo meccanismo di voto, per il quale basta un solo veto per bloccare il consenso della maggioranza. Dall’altro ci sono le principali democrazie europee, che auspicano un passaggio a una maggioranza qualificata per votazioni su questioni di politica estera, ingresso di nuovi Paesi nell’UE e politiche economiche.
Il tema dell’unanimità è un problema reale, nel momento in cui il principale soggetto ad avere rallentato diverse decisioni è l’Ungheria di Viktor Orban: un Paese autoritario, guidato da un primo ministro con posizioni omofobe e illiberali.
Soltanto negli ultimi due anni, l’Ungheria ha espresso un voto contrario su una tranche di 500 milioni di euro per l’Ucraina e su un regolamento comune per la gestione delle immigrazioni.
Semestre nero
Il ‘semestre nero’ è l’espressione più calzante con cui possiamo accogliere il semestre in cui sarà l’Ungheria a presiedere il Consiglio dell’Unione Europea: ogni sei mesi tocca a un Paese diverso la guida dell’organo che detiene il potere legislativo insieme al Parlamento Europeo.
L’avvicinamento di questo semestre è stato più che mai discusso: da anni l’Ungheria ricatta le decisioni europee attraverso il potere di veto di cui abbiamo appena parlato, e si contraddistingue per posizioni fortemente anacronistiche in merito alla comunità LGBTQ, alle minoranze e, più in generale, ai diritti civili, oltre che a essere l’unico “partner” europeo di Vladimir Putin.
Sembra, comunque, che questo semestre non avrà grossi effetti per quello che è il processo integrativo e decisionale dell’Unione Europea: il nuovo Parlamento Europeo - quello per cui abbiamo votato a inizio giugno - non si insedierà per diversi mesi, e quando sarà il momento di valutare i candidati per la nuova Commissione Europa di fatto il semestre ungherese sarà concluso.
Orban, in ogni caso, ci ha gentilmente elargito una buona dose di preoccupazione. Non appena assunta la presidenza del Consiglio l’1 Luglio, il primo ministro ungherese ha incontrato Vladimir Putin a Mosca e Xi Jinping a Pechino: forse le due figure più invise all’intero mondo occidentale a eccezione di Donald Trump - per quanto riguarda Putin -, dal quale Orban si è recato soltanto tre giorni fa. Una tripletta mica da ridere.
Fin dall’inizio della guerra in Ucraina, Orban ha tentato di auto-assegnarsi un possibile ruolo di “mediatore”, come ha cercato di fare anche il presidente turco Erdogan, e ha venduto questi viaggi come vere e proprie iniziative di pace - le ha denominate ufficialmente Peace Mission -, oltre che utili per stringere degli accordi economici per il suo Paese.
La realtà è che questi viaggi non fanno altro che ribadire quello che è il focus internazionale di Orban: su Trump e Xi Jinping come figure chiave per la cooperazione in materia ucraina, e sui Balcani come fulcro chiave dell’economia europea e difesa dall’immigrazione clandestina.
Per ora non ci sono state delle grosse reazioni ufficiali da parte dei vertici di Bruxelles, ma è chiaro che queste posizioni destino preoccupazione e siano in netta controtendenza con ciò a cui lavorano da tempo le principali democrazie dell’Unione Europea, partendo da Francia, Germania e Spagna.
Minaccia
Per capire meglio di cosa stiamo parlando, ecco una breve lista di cose che si stanno verificando nell’Ungheria di Orban: elezioni contraddistinte da gerrymandering e condizionamenti, un’informazione ridotta a pochissimi media liberi e indipendenti, un maniacale controllo sull’istruzione, licenziamenti e soprusi a chi si oppone a Orban più o meno pubblicamente, un accesso all’aborto drammaticamente ristretto, violazioni omofobe e razziali.
Lo stesso Parlamento Europeo, a inizio anno, ha chiesto di valutare la possibilità di escludere l’Ungheria dal diritto di voto in UE.
Questo è soltanto l’ultimo passo di un’escalation di scontri con cui il Parlamento Europeo ha cercato di minare l’autoritarismo di Orban, principalmente attraverso il congelamento di finanziamenti a cui l’Ungheria ha avuto accesso - solo in parte - quest’anno: il loro sblocco è arrivato solo in seguito a quattro riforme adottate da Orban in merito all’indipendenza giudiziaria, ma che ancora non avvicinano l’Ungheria al concetto di “Stato di diritto”.
L’Ungheria, inoltre, si è ritrovata ancor più isolata: se i precedenti veti e la posizione sul voto di unanimità erano accompagnati dalla vicina Polonia, dopo le elezioni di cui abbiamo parlato e in cui ha perso il partito al potere Diritto e Giustizia (PiS), la Polonia è oggi guidata da Donald Tusk, una figura di centro-destra che mira a ripristinare i rapporti con Bruxelles.
Senza l’appoggio polacco, Orban oggi è più solo in Europa ma non per questo meno pericoloso: soltanto Matteo Salvini - senza l’appoggio di Giorgia Meloni - non si è ancora distanziato dalla sia figura, e ha “benedetto” la nascita del gruppo europarlamentare “Patrioti per l’Europa”, formato da Orban, nazionalisti cechi e austriaci, la Lega di Salvini e Rassemblement National di Marine Le Pen.
La stessa capitale che guarda a Putin, Xi Jinping e Trump sta guidando la presidenza del Consiglio Europeo: il semestre nero non può che regalare diversi temi, spunti e segnali a cui prestare attenzione da qui alla fine dell’anno.
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E per finire
La foto più aesthetically pleasing vista di recente:
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La newsletter che ti consiglio: Culture Wars di Davide Piacenza, su tutto ciò che rientra nel concetto di cultura.
Il podcast da non perdere: la puntata di Inversione a EU, il podcast di Fanpage, in cui si parla proprio di Viktor Orban e Unione Europea.
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