L'arte della sorpresa cinese
#91 Mappe - Cina 🇨🇳: la rivoluzione nel mondo dell'intelligenza artificiale portata dal chatbot di DeepSeek. Con Alessandro Aresu.
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DeepSeek
Lo scossone degli ultimi giorni arriva direttamente dalla Cina 🇨🇳, di cui avevamo parlato tre anni fa attraverso la lente dei Giochi Olimpici invernali, in questa puntata.
Oggi il tema è ben diverso: parliamo di DeepSeek - società di intelligenza artificiale cinese che sviluppa modelli linguistici di grande dimensione open-source - e della sua prima app di chatbot lanciata il 10 gennaio 2025.
Nel giro di un paio di settimane e nel silenzio più totale, il chatbot cinese ha superato i download di ChatGPT da App Store negli Stati Uniti e ha portato le azioni di Nvidia - l’azienda statunitense leader nel mercato dei chip per computer, attualmente la seconda azienda con la più alta capitalizzazione del mondo dietro ad Apple - a calare di circa il 18% nel giro di pochissimi giorni.

Dietro a questa disruption nel mondo dell’AI ci sono tanti fattori, che si intersecano anche con Donald Trump, i colossi statunitensi e il Partito Comunista Cinese. Per l’occasione, ho fatto qualche domanda ad Alessandro Aresu, consigliere scientifico di Limes e autore di Geopolitica dell’intelligenza artificiale, libro uscito pochi mesi fa.
Sorpresa
L’ingresso altisonante di DeepSeek ha portato, in pochi giorni, a riconsiderare molte delle certezze che accomunavano tutti i dibattiti e discorsi sull’intelligenza artificiale.
C’entra la qualità del chatbot sviluppato dalla compagnia cinese fondata da Liang Wenfeng, ma anche i costi di addestramento e i consumi energetici drasticamente ridotti rispetto ai corrispettivi americani. Sembra, infatti, che il chatbot cinese sia costato circa sei milioni di dollari, mentre i costi di addestramento di Meta e Microsoft si aggirano nell’ordine di miliardi.
Ma, più di tutto, c’è “l’arte della sorpresa cinese”, come mi spiega Alessandro Aresu:
DeepSeek ha la struttura di una sorpresa, perché ha mostrato alcune capacità cinesi impreviste e sottovalutate da parte dell’avversario statunitense. Alcuni consiglieri dell’amministrazione Biden - penso a Elizabeth Economy, che ha lavorato con Gina Raimondo al Dipartimento del Commercio - hanno scritto in modo esplicito degli articoli sull’arte della sorpresa cinese.
Per esempio, la capacità della Cina nella filiera dell’auto elettrica è stata molto superiore alle attese, e ha quindi generato una sorpresa con enormi conseguenze economiche, politiche e sociali. DeepSeek non è una delle principali società tecnologiche cinesi, non è Alibaba, o ByteDance, o Tencent, quindi i suoi risultati hanno alimentato un “effetto sorpresa” consistente. Prima diffuso tra gli addetti ai lavori a fine 2024, poi "esploso" in circostanze che hanno dimensioni ancora da chiarire.
In questo contesto, è importante non fare discorsi troppo legati alle oscillazioni di borsa, anche quando sono pesanti. La crescita dei valori di borsa ha portato molte istituzioni finanziarie e investitori ad avvicinarsi ai titoli tecnologici, pur senza avere gli strumenti concettuali, economici e politici per comprendere temi complessi come la struttura dell’industria dei semiconduttori, la traiettoria tecnologica cinese, la filiera dell’intelligenza artificiale. Se guardiamo solo al fatto che un’azienda possa guadagnare o perdere il 50% in Borsa in un dato periodo, non capiamo le tendenze strutturali della guerra tecnologica.
L’amministrazione Trump
La sorpresa DeepSeek è arrivata proprio nei primi giorni della nuova presidenza degli Stati Uniti di Donald Trump: un quadriennio che sarà letto anche attraverso le strategie che verranno attuate dagli USA nei confronti della Cina di Xi Jinping, tra TikTok, dazi commerciali e altre decine di tematiche.
Sempre Alessandro Aresu mi aiuta a leggere le possibili mosse di Trump, sulla base dell’irruzione del nuovo chatbot cinese:
La strategia politico-economica di Trump verso la Cina non va legata solo a DeepSeek: gli eventi dell’attualità non devono mai essere sopravvalutati, e anzi vanno considerati con ottiche più di medio-lungo periodo in cui la reale forza cinese è legata alla disponibilità di un grandissimo bacino di capitale umano e alla sua presenza cruciale nelle filiere manifatturiere globali.
Nei rapporti tra Donald Trump e la Cina contano diversi aspetti, tra i quali assume un ruolo di primo piano il deficit commerciale degli Stati Uniti, ciò che ha guidato anche le azioni della sua prima amministrazione attraverso dazi - che non riguardano solo la Cina - e accordi commerciali.
In questa congiuntura, ciò che Trump sembra perseguire è un “grande accordo” con Xi Jinping, in cui inserire vari punti in cui gli Stati Uniti e la Cina possono “farsi male” - tra questi, anche TikTok - per cercare di gestire al meglio il rapporto. Ma sulla politica verso la Cina c’è, a mio avviso, un dibattito in corso nell’amministrazione Trump e nelle strutture del potere americano, tra chi vuole la “vittoria” contro Pechino e chi invece persegue l’accordo.
Sostenibilità
In questi giorni ha fatto discutere la censura che è stata applicata ad alcune risposte fornite dal chatbot cinese: su tutte, l’incapacità di approfondire e parlare delle proteste avvenute a piazza Tienanmen, nel 1989. Ma, come spiega l’articolo di The Spectator, è altrettanto vero che ogni AI applica la censura voluta da chi sviluppa il chatbot.

La stessa rilevanza della censura è stata ottenuta dai costi e consumi energetici totalizzati per lo sviluppo del chatbot, drammaticamente inferiori rispetto ai cugini americani.
Come scrive nel suo ultimo post Instagram il giornalista Ferdinando Cotugno, “l’intelligenza artificiale è qui per rimanere e richiederà tantissima energia, ma l’ansia generalizzata con cui i mercati hanno accolto il digitale frugale di DeepSeek ci dice qualcosa di importante sui compromessi che stiamo accettando per far funzionare il macchinario”.
Su questo tema, sempre Alessandro Aresu mi spiega:
Dal punto di vista cinese, il fatto che i loro avanzamenti siano identificati e riconosciuti come quelli sostenibili in ottica energetica alimenta il loro soft power. Allo stesso tempo, ci sono aziende digitali cinesi che stanno costruendo decine di data center, con l’economia cinese che consuma quantità record di carbone. Mentre tutto ciò accade, moltissime persone credono, grazie a un “effetto DeepSeek”, che i processi in corso possano portare al miglioramento delle condizioni ambientali.
Per le aziende degli USA, come già si vede, ci sarà un doppio processo: da un lato lo spostamento di alcune aziende verso il capitalismo politico, dichiarando che l’innovazione cinese è un “pericolo di sicurezza nazionale” e così rinserrando i rapporti politici col governo statunitense, chiedendo protezione dalla concorrenza e sostegno di vario tipo; dall’altro, come hanno già fatto Microsoft, Amazon, NVIDIA o altri, i prodotti di DeepSeek saranno comunque adottati e caricati dalle aziende degli USA fino a quando non sarà vietato, nella misura in cui saranno considerati di successo o utili per i consumatori.
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Cinque anni dopo, chi aveva votato per la Brexit ha cambiato idea, su YouGov
Tutte le complessità dell’Iran con il giornalista Arash Azizi, su Lucy sulla Cultura
Il terzo titolo del grande Slam di Jannik Sinner, su L’Ultimo Uomo
La puntata di Mappe da rileggere: El Salvador 🇸🇻 era stato, nel 2021, il primo Paese ad adottare i bitcoin come valuta legale. Ne avevamo parlato in questa puntata.
Il podcast da ascoltare mentre sei in coda: Viaggio a Tokyo, un nuovo podcast de Il Post, curato da Matteo Bordone e Flavio Parisi - con cui avevamo parlato di Giappone proprio nella prima puntata del 2024 -.
Qualche settimana dopo
Una nuova mini-rubrica in cui, dopo un po’ di tempo, facciamo un follow-up su uno dei Paesi e temi trattati nelle precedenti puntate.
Un anno e mezzo fa avevamo parlato - nella puntata qui sotto - di come l’Ecuador 🇪🇨 fosse salito di posizioni nella triste classifica dei Paesi più violenti del Sudamerica.
La situazione non sta cambiando, lo conferma anche questo recente articolo di Internazionale: ottomila omicidi nel 2023, molti di questi dovuti alla cocaina, la cui coltivazione e controllo da parte dei gruppi di narcotrafficanti è cresciuta a dismisura nell’ultimo decennio, a pochi passi dalla Colombia.
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