Timor Est ha scombinato i piani
#112 Mappe - Timor Est 🇹🇱: il primo Paese a diventare indipendente nel XXI secolo. Il petrolio e il suo patrimonio culturale.
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Il primo Paese indipendente del XXI secolo
“Da piccolo sapevo tutte le capitali del mondo, poi Timor Est ha scombinato i piani” è una frase che mi piace ripetere, e non si trova molto distante dalla realtà dei fatti.
Oggi ho ventotto anni, e nell’anno in cui Timor Est ha raggiunto la sua seconda e definitiva indipendenza dall’Indonesia - nel 2002 - ne avevo soltanto cinque.
A quell’età stavo finendo la scuola dell’infanzia ed ero in fissa con astronomia, geografia e capitali del mondo, mentre i miei coetanei erano impegnati ad accogliere la saga di Harry Potter. Sono passati più di vent’anni, e ancora non l’ho recuperata per intero.
La fine della scuola dell’infanzia ha segnato anche la conclusione del periodo in cui potevo vantarmi di conoscere tutte le capitali del mondo: ora, non so se davvero le sapessi proprio tutte, ma c’era una discreta probabilità di rispondere “Vientiane!” se una compagna di classe mi avesse chiesto: “Qual è la capitale del Laos?”.
Con l’andare degli anni ho mantenuto una discreta cognizione della maggior parte dei Paesi del mondo - stai leggendo Mappe, un motivo ci sarà - ma mi piace identificare nell’indipendenza di Timor Est lo spartiacque tra la completa e non completa conoscenza delle capitali del mondo.
Timor Est fa parte di uno dei quattro Paesi a essere diventati indipendenti nel primo ventennio del XXI secolo: allo Stato insulare asiatico si sono aggiunti Montenegro, Kosovo e Sud Sudan, rispettivamente nel 2006, 2008, 2011.

La sua capitale è Dili: un nome piuttosto semplice e anche orecchiabile che ho sempre faticato a ricordare, una città di circa 150.000 abitanti sull’isola di Timor, che include anche la confinante provincia indonesiana denominata Nusa Tenggara Orientale.
La sua rilevanza crescente come attore nel continente asiatico è certificata da un’indiscrezione di pochi giorni fa, secondo la quale nel giro di pochi mesi Timor Est diventerà l’undicesimo membro dell’ASEAN - Association of South-East Asian Nations -, dopo aver registrato la propria richiesta nel 2011.

Oro nero
Dominio portoghese fino al 1975, anche l’effettiva nascita di Timor Est arriva in seguito a una guerra civile così come avvenuto negli altri Paesi divenuti indipendenti nel secolo in corso.
Oggi è uno dei Paesi più poveri dell’Asia, e la sua scarsa ricchezza arriva principalmente dalle riserve di petrolio presenti nel Mar di Timor: il petrolio pesa circa il 49% sul totale delle esportazioni di Timor Est, ma in termini assoluti risulta essere il 46° Paese al mondo per produzione di petrolio, appena dietro all’Italia e decisamente distante dai primi della classe.
Parlare del cosiddetto “oro nero” significa ricollegarsi a diverse criticità:
In primis, il riscaldamento climatico. Nel 2030, i governi mondiali prevedono di produrre il doppio dei combustibili fossili - tra cui il petrolio - rispetto al limite consentito per mantenere il riscaldamento globale sotto l’1.5°C rispetto all’era preindustriale. La presenza di nuove realtà fortemente dipendenti dal petrolio come Timor Est non fa altro che inasprire il problema.
In secundis, la stabilità economica. Nella puntata su Guyana - l’economia più crescente al mondo proprio grazie al petrolio - avevamo ricordato il caso del Venezuela, il Paese più ricco del Sudamerica negli anni Settanta attraverso le riserve petrolifere e caduto in un baratro economico proprio per la mancata diversificazione delle proprie risorse.
Per Timor Est, la necessità di svincolarsi dai giacimenti petroliferi è dunque doppia: da un lato la missione rappresentata dalla transizione energetica verso fonti rinnovabili, dall’altro la diversificazione interna.
Come scrive questo reportage, Timor Est dovrebbe affidarsi soprattutto al proprio suolo fertile per espandere significativamente il settore agricolo, anche per migliorare la qualità di vita dei propri abitanti.

Una recente analisi dell’IMF - International Monetary Fund - mostra come negli ultimi anni il Paese abbia conservato diversi risparmi provenienti dai giacimenti offshore per un totale di 18 miliardi di dollari, una cifra dieci volte superiore al PIL annuale.
La somma che alimenta il fondo sovrano di Timor Est necessita di essere utilizzata per massicci investimenti interni, per riforme nel settore privato, nell’istruzione, nel settore alimentare.
Come mostra l’infografica qui sotto, le attività estere nette di Timor Est sono tra le più sproporzionate del mondo in rapporto al PIL: rispetto a quasi tutti i Paesi del mondo, è un Paese decisamente povero ma con enormi riserve estere. Sono quelle provenienti dal settore petrolifero, e possono fungere da investimento per migliorare la qualità di vita interna.

Tais
La popolazione di Timor Est ha un’età media di circa 21 anni: è la seconda più bassa dell’Asia dopo quella dell’Afghanistan. Un massiccio investimento nelle condizioni di vita nel Paese permetterebbe a una vasta “forza lavoro” di trainare e diversificare l’economia, attraverso nuovi settori agricoli-industriali e nuove competenze.
Tra questi, fin dalla sua nascita Timor Est si è contraddistinta per il Tais: si tratta di tessuti tradizionali che rappresentano un forte lascito identitario per il Paese asiatico.
Dalla fine del 2021, il Tais rientra nella lista dei patrimoni culturali immateriali che necessitano di un’urgente tutela, stilata dall’UNESCO: è un bizzarro, curioso e affascinante elenco di tradizioni da salvaguardare per mantenere il patrimonio culturale di una determinata popolazione.
Al suo interno, troviamo l’uso delle piroghe in Estonia, la calligrafia mongola, la soffiatura del vetro in Siria, un gioco a cavallo in Azerbaigian.
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E per finire
La foto più /aesthetically pleasing/ vista di recente: uno storico scatto da Cardiff, dalla seconda data della reunion degli Oasis, dopo sedici anni.

Alcuni articoli letti in questi giorni:
Il racconto visivo sulla guerra tra Israele, USA e Iran, su Iconografie
Un eccezionale longform di Sandro Modeo su Sinner-Alcaraz, su L’Ultimo Uomo
Come provare a far rientrare il Ponte sullo Stretto nel target NATO, su Politico
Una nuova strategia possibile per i dem americani, sulla newsletter Ellissi
Il podcast da ascoltare mentre sei in coda: l’ultima puntata del mio podcast preferito - l’immancabile Tintoria - è un’interessantissima chiacchierata con Paolo Nori, scrittore e finalista del Premio Strega 2025.
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Qualche settimana dopo
Una nuova mini-rubrica in cui, dopo un po’ di tempo, facciamo un follow-up su uno dei Paesi e temi trattati nelle precedenti puntate.
Ti ricordi quando Donald Trump parlava di Groenlandia 🇬🇱?
Sembrano passati anni, ma in realtà il territorio danese era entrato nelle mire della nuova presidenza americana soltanto pochi mesi fa, per ragioni economiche e geopolitiche.
Parlare di Groenlandia, in mezzo ai tanti altri temi sbattuti sulla tovaglia dei media da parte di Donald Trump e affini, fa parte di una strategia ben precisa: si chiama muzzle velocity, e avevamo affrontato il concetto nella puntata sul Vietnam.
Qui sotto ti lascio invece la puntata per approfondire l’importanza strategica della Groenlandia, nel presente e nel futuro.

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