Strage di Ferragosto
#109 Mappe - Libia 🇱🇾: 49 morti, 8 condannati e un approccio italiano all'immigrazione pieno di coni d'ombra. Con Lorenzo D'Agostino.
Ciao, buon lunedì!
Stai leggendo la puntata 109 di Mappe: da qualche tempo, mi premuro sempre di controllare le caratteristiche del numero della nuova puntata.
In questo caso, il numero 109 è un cosiddetto numero odioso ma anche un numero felice. Insomma, il 109 “po esse fero o po esse piuma”.
In ogni caso, sei su Mappe: se non è la prima volta, rieccoci. Se è la prima volta, Mappe è la newsletter che ti parla di storie, culture e persone. Un Paese alla volta, minuziosamente ogni lunedì mattina.
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Arrivi via mare
L’immigrazione è il tema politico più polarizzante dell’ultimo decennio: accade negli USA - per il confine con il Messico - e in tutta l’Europa.
Secondo i dati condivisi quotidianamente dal Viminale, nel 2024 sono sbarcati irregolarmente in Italia circa 66.000 migranti. La cifra del 2023 è due volte maggiore (157.000), ma l’aspetto più rilevante è notare la provenienza degli sbarchi e le rotte da cui giungono: in questo senso primeggia la Libia, da cui sono partiti circa il 60% degli sbarchi dello scorso anno.
È una cifra consistente, soprattutto perché la Libia non è il Paese nordafricano più vicino alle coste italiane, e separato solo dal Mar Mediterraneo: Tunisia - pesa per circa il 30% - e Algeria - poco più del 2% - distano molti meno chilometri dalla Sicilia, mentre dalla Libia - da Tripoli e dalla cittadina marittima di Zuwara - i chilometri sono circa 300.
In Libia, tuttavia, le milizie locali sono direttamente invischiate nel traffico di esseri umani per generare profitti, e alcune aree della Tripolitania - la regione attorno alla capitale Tripoli - stanno attraversando un vuoto di potere locale.

Strage di Ferragosto
“Strage di Ferragosto” è il triste termine con cui si ricordano i 49 morti sbarcati a Catania nella mattina del 17 agosto 2015, a bordo di un barcone partito proprio da Zuwara.
Da questo fatto è nato un caso giudiziario molto grosso, che non ha avuto l’eco mediatico che meriterebbe ma che mostra le criticità e i coni d’ombra dell’approccio dell’Italia all’immigrazione clandestina. Per raccontarlo, mi sono fatto aiutare dal giornalista italiano che più si è speso nel raccontarne l’evoluzione: Lorenzo D’Agostino.
La strage parte dalla Libia nella notte del 14 agosto 2015, a bordo di un barcone dove le milizie locali stipano oltre 300 persone. Nel giro di poche ore, la barca viene intercettata dalle tre navi inviate in mare per soccorrere i migranti: Cigala Fulgosi - pattugliatore della Marina Militare -, il rimorchiatore Siem Pilot dell’agenzia di frontiera Frontex e la nave militare OPV Werra.
Come scrisse proprio Lorenzo D’Agostino in questo pezzo su IRPI Media, le prime criticità nascono proprio dalle prime interrogazioni dei naufraghi, ancor prima che arrivasse la polizia giudiziaria: condotte secondo un nuovo approccio europeo che mira a identificare subito eventuali comportamenti sospetti, per individuare gli scafisti responsabili. Così si legge dal pezzo:
«L’isp. Capo Macaluso Santo una volta entrato nel citato spazio denominato “Zone Red” notava che circa 9-10 soggetti di sesso maschile nel tentativo di unirsi agli altri migranti, venivano respinti e allontanati sia con urli che spintoni – si legge nelle annotazioni del vicequestore Giovanni Arcidiacono -. I citati migranti si raggruppavano quindi in un angolo assumendo un atteggiamento di evidente timore e spiccata curiosità sull’attività effettuata da questa P.G. tanto che ogni nostro movimento veniva scrutato e seguito con strano interesse. Gli stessi parlavano esclusivamente tra di loro». Questa osservazione, che di per sé è uno spunto investigativo, è stata impiegata come una prova fondamentale nel processo.
Fin da subito, l’irreprensibile esigenza di individuare i responsabili dell’imbarcazione guida gli inquirenti nella formulazione di ipotesi poco consistenti e pregiudiziali.
Il processo
Jomaa Laamami Tarek, Abdelkarim Alla F. Hamad, Abd Al Monssif Abd Arahman, Beddat Isham, Jarkess Mohannad, Assayd Moahmed, Couchane Moahmed Ali, Saaid Mustapha: sono questi i nomi delle otto persone condannate dalla Corte d’Appello di Catania: cinque di essi a 30 anni di carcere, altri tre a 20.

Non solo le prime interrogazioni, ma anche l’intero processo e le testimonianze che lo hanno retto sembrano viziate dai medesimi pregiudizi e dalla necessità di individuare - per forza di cose - un colpevole.
Poco dopo lo sbarco avvenuto a Catania, i resoconti dei testimoni evidenziano dei grandi e irrealistici punti di uniformità, una sorta di copia-incolla di dichiarazioni che sembrano cucite ad arte. La fase processuale denominata “incidente probatorio” è stata strutturata sulla falsariga di quanto accade nei processi per mafia, a partire dalla promessa di protezione e della cittadinanza per chi collabora.
Ti invito a leggere l’intero resoconto dell’articolo, per capire come e quanto le contraddizioni dei testimoni e del materiale accusatorio abbia indirizzato in maniera decisiva il processo, anche nei confronti di Couchane Moahmed Ali, colui che ha pilotato la barca nelle ore di tragitto, con 49 morti sottocoperta. Così mi aggiunge Lorenzo:
Dalle prime interrogazioni fino alla fine del processo, non è stata presa minimamente in considerazione la questione dei diritti umani.
Emerge la necessità del sistema giuridico italiano di dover ottenere giustizia per quelle morti, e per farlo sono andate a individuare sette persone (se non otto) come nemico fantasma. Sono state condannate per omicidio volontario all’interno di un “processo spettacolo”.

Il cambio di paradigma
L’atteggiamento rilevato all’interno di questo processo fa parte di un chiaro cambio strategico iniziato nel 2013, in seguito al naufragio di Lampedusa dove 368 persone persero la vita a bordo di una nave libica.
Da quel momento, le indagini di polizia e forze dell’ordine sembrano rispondere a un’unica esigenza politica: trovare un colpevole, anche laddove questo non sia presente. Proprio la procura di Catania è giunta in prima linea nell’applicare le nuove direttive nazionali della Direzione Nazionale Antimafia (DNA). Come mi spiega Lorenzo, è un disegno che prescinde da qualsiasi orientamento politico:
Questo modus operandi prende il via sotto il governo Letta, matura sotto Renzi e culmina sotto Gentiloni, per poi essere perfezionato da chi sta oggi al potere. Più di tutti, è Marco Minniti - e il relativo “Decreto Minniti” sull’immigrazione, ndr - ad aver sfruttato questo legame organico tra il soccorso in mare e la Direzione Antimafia.
L’obiettivo è stato quello di costruire un capro espiatorio fortissimo e simbolico, con cui scaricarsi la coscienza delle morti in mare e fare uno shifting in materia di responsabilità. Dal 2013, la maggior parte di questi casi sono stati affrontati in maniera standardizzata, passando da accusare gli scafisti di favoreggiamento di immigrazione al favorire pratiche relative alla tratta di esseri umani.
Proprio pochi giorni fa, è arrivato l’ultimo aggiornamento sulla “strage di Ferragosto”: la Cassazione ha rigettato il ricorso relativo al rifiuto di revisione del caso da parte del Tribunale di Messina.

Trattative
Negli anni successivi, i prigionieri libici in Italia sono stati oggetto di diverse richieste di scambio e rimpatrio da parte del governo nordafricano: il tema è emerso, per esempio, in occasione del rapimento dei diciotto pescatori italiani di Mazara del Vallo nel 2020, imprigionati dal governo del generale libico Haftar per essersi diretti in acque internazionali e liberati dal viaggio istituzionale di Giuseppe Conte e Luigi Di Maio.
Ma c’è di più: anche nell’ultimo Consiglio dei Ministri di dicembre 2024, prima di Natale, è stato approvato un disegno di legge per la ratifica di un trattato - non ancora in vigore - che permetta a Libia e Italia di trasferire a vicenda le persone condannate nel rispettivo Paese d’origine.

Italia-Libia
Per raccontare ancora meglio il controverso approccio italiano in merito all’immigrazione irregolare dalla Libia, bisogna citare anche il caso Almasri.
Il 21 gennaio 2025, il governo italiano ha infatti permesso a Nijeem Osama Almasri, generale libico sul quale pende un mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale per presunti collegamenti con crimini perpetrati nel carcere di Mitiga, di ritornare in Libia con un volo di Stato, in seguito alla mancata convalida dell’arresto. Il suo nome, inoltre, si lega anche al caso Paragon: un’altra fessura con diverse ombre per il governo italiano.
Infine, bisogna anche ricordare le sovvenzioni che l’Italia versa alle entità statali libiche, che sono però collegate alle milizie locali: pagate per contrastare le partenze via mare dalla costa libica, quando loro stesse orchestrano lo stesso traffico di esseri umani.
Molte di queste misure erano contenute nel Memorandum Italia-Libia del 2017, ancora in vigore: un accordo che si unisce ai circa 480 milioni di euro versati finora da Italia e UE per “esternalizzare” i confini europei proprio sulle coste libiche.
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Le puntate di Mappe da rileggere per capire meglio il Medio-Oriente:
Lo Yemen 🇾🇪 e il ruolo degli Houthi contro Israele e USA
L’Iran 🇮🇷 e l’arsenale nucleare, attraverso la storia della bomba atomica
Il Libano 🇱🇧 e il rapporto tra Hezbollah e l’Iran
Alcuni articoli letti in questi giorni:
Gli scontri di Los Angeles e cosa sono le città santuario, su Sky TG24
Come cambierà Google e il mondo delle keyword, sulla newsletter Ellissi
Il nuovo capitolo aperto da Israele e Iran, su ISPI
Il podcast da ascoltare mentre sei in coda: una storia di sport e criminalità, calcio e carceri, narrata dal giornalista Marco Cattaneo. Il Maradona delle Carceri.
Qualche settimana dopo
Una nuova mini-rubrica in cui, dopo un po’ di tempo, facciamo un follow-up su uno dei Paesi e temi trattati nelle precedenti puntate.
Negli ultimi giorni ho scoperto il concetto di “Overton window”: il costrutto prende il nome dal sociologo statunitense Joseph P. Overton.
In ambienti politici, si parla di questo tema per spiegare la progressiva accettazione di idee, teorie e posizioni politiche che in precedenza non erano ammesse dall’opinione pubblica maggioritaria.
Un concetto che si applica piuttosto bene al recente e tragico risultato del referendum sulla cittadinanza in Italia: il 35% dei votanti ha votato per il ‘No’ in merito alla riduzione dai 10 ai 5 anni di residenza regolare necessari per richiedere la cittadinanza italiana.
La finestra di Overton calza anche a una vecchia puntata di Mappe insieme al direttore di YouTrend Lorenzo Pregliasco: su Spagna 🇪🇸 e “vento di destra”.

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