Le mani sulla Coppa del Mondo
#86 Mappe - Arabia Saudita 🇸🇦: come è arrivata a prendersi la Coppa del Mondo di calcio del 2034, tra Vision 2030, diritti umani e il ruolo della FIFA. Con Nicola Sbetti.
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Vision 2030
La prima eccezione ha aperto un’autostrada: ora a Mappe è stata concessa la possibilità di ripetere alcuni Paesi che già abbiamo affrontato in precedenza.
È il caso dell’Arabia Saudita 🇸🇦: uno dei Paesi del Golfo Persico di cui avevamo parlato due anni fa attraverso The Line, la città del futuro. Una strada tracciata da e verso Vision 2030, il programma strategico voluto dai reali sauditi per espandere il Paese nel mondo aldilà del petrolio, diversificando la propria economia.
Ancora oggi, l’Arabia Saudita è uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo: più di 10 milioni di barili al giorno, circa il 13% della produzione mondiale. Le spedizioni di petrolio pesano per circa l’87% delle esportazioni totali e per il 46% del PIL del Paese.
Da questa esigenza e da Vision 2030 nasce la recente e controversa assegnazione all’Arabia Saudita della Coppa del Mondo di calcio maschile nel 2034: ne parliamo con Nicola Sbetti, ospite della puntata e ricercatore presso il Dipartimento delle Arti all’Università di Bologna.
Il Congresso FIFA
Mercoledì 11 dicembre si è tenuto il congresso con cui la FIFA - la Federazione internazionale del calcio - ha di fatto ratificato l’assegnazione della Coppa del Mondo del 2034 all’Arabia Saudita.
Nello stesso congresso è stata ufficializzato anche il Mondiale del 2030: sarà il Mondiale del Centenario, a cent’anni dal primo tenutosi a Montevideo, in Uruguay.
Per l’occasione, la delegazione sudamericana si è dovuta accontentare di ospitare tre partite del Mondiale 2030, mentre le restanti saranno spartite tra Spagna, Portogallo e Marocco.
I due eventi sono collegati: dopo un Mondiale, infatti, la stessa federazione continentale non può ospitare l’evento per le due edizioni successive. Di fronte ai Mondiali del 2026 in USA, Canada e Messico, per il 2034 rimanevano soltanto le federazioni asiatiche e oceaniche. E in qualche modo, solo l’Arabia Saudita.
Nel torbido percorso che ha portato la sola candidatura dell’Arabia Saudita per l’evento del 2034, il Congresso di mercoledì scorso è stato l’ultimo tassello, come mi spiega Nicola Sbetti e come ha scritto per L’Ultimo Uomo:
Intanto il Congresso si era sempre tenuto in presenza a differenza di quest’ultimo da remoto, e in precedenza la decisione dell’assegnazione era rimessa all’intera assemblea. Già con Blatter la decisione era passato al solo Comitato Esecutivo FIFA, nell’ottica di limitarne l’aspetto democratico.
Ancor prima dell’assegnazione, il problema sta in come quest’ultima sia arrivata al suo compimento.
La candidatura saudita ha vinto perchè FIFA e Gianni Infantino hanno fatto di tutto perchè non ci potessero essere altri concorrenti: il processo di candidatura è rimasto aperto per soli 25 giorni, e l’Arabia Saudita si è presentata con la sua proposta dopo soli 81 minuti dall’apertura. La stessa ufficializzazione, arrivata in questi giorni, ha aspettato l’entrata di Aramco - compagnia petrolifera statale saudita - come nuovo sponsor FIFA.
Globalizzazione
Il calcio è uno sport in grave crisi economica: i costi interni superano quelle che sono le risposte di pubblico e broadcaster.
Da diverso tempo la volontà della FIFA e tante altre personalità è quella di orientarsi verso nuovi mercati, di aprirsi verso nuove possibilità economiche anche a costo di chiudere un occhio sull’attenzione a tifosi, professionisti e - ancora peggio - diritti umani.
Basti pensare alla FIFA Club World Cup 2025, una nuova competizione estesa a 32 squadre che si giocherà tra giugno e luglio, al termine di una stagione sempre più compressa che mina la condizione psicofisica dei calciatori, e dove è stato invitato l’Inter Miami. Il club dove attualmente gioca Lionel Messi, e non si intravedono altri motivi sportivi che possano giustificarne il coinvolgimento.
Come mi spiega Nicola Sbetti, la globalizzazione del calcio è iniziata da tempo:
Già col presidente João Havelange, dal 1974 la FIFA ha avuto una svolta neoliberista: da semplice federazione che gestisce il calcio in ottica “occidentalocentrica” a una realtà che si apre alle nuove forze del mercato. Non a caso, il blocco elettorale che permette la rielezione di una determinata direzione è quello rappresentato da Asia, Africa e federazioni caraibiche.
Anche nel passaggio da Blatter a Infantino, il modus operandi non è cambiato: la selezione delle sedi è sempre stata fonte di un’aperta corruzione. La vera novità è la svolta tecnocratica: il voto di ogni federazione tende a sparire, ed è evidente come in questo caso sia stata la FIFA stessa a convincere la confederazione sudamericana ad accettare le sole tre partite nel 2030, rinunciando di fatto alla candidatura per il 2034.
Se vuoi, qui puoi rivedere la discussa cerimonia di assegnazione:
Diritti umani
Non c’è solo il come: la legittima assegnazione del Mondiale all’Arabia Saudita riapre diverse delle tematiche emerse in occasione del Mondiale del 2022 in Qatar, e che avevamo riassunto nella newsletter che puoi leggere qui sotto.
L’Arabia Saudita è un regime autoritario a tutti gli effetti: le libertà di minoranze e donne sono fortemente limitate, il dissenso - come quello del giornalista Jamal Khashoggi - viene fermato alla sua radice anche attraverso delle esecuzioni.
Il 13 marzo 2022 era avvenuta l’esecuzione di 81 prigionieri, accusati di aver protestato violentemente contro il governo. A ciò si sommano anche gli sfruttamenti sul lavoro, un tema già sensibilizzato nella costruzione degli stadi in Qatar: dal 2008 al 2022 sono morti oltre 13mila lavoratori arrivati dal Bangladesh, nella maggiorparte dei casi senza spiegazioni ufficiali.
Di fronte a ciò, la FIFA ha assunto un duplice atteggiamento, che fa acqua da entrambe le parti.
Da un lato, nel report di valutazione della candidatura la FIFA ha definito il rischio di mancato rispetto dei diritti umani in Arabia Saudita come “medio”, e non “alto”. Dall’altro - come avvenuto in Qatar - la FIFA prova a ergersi a veicolo di qualsiasi miglioramento sociale nei Paesi ospitanti: “It is important to note that the bid involves significant opportunities for positive human rights impact”, si legge nel report.
Si dice che i Mondiali porteranno a una trasformazione positiva, ma comunque saranno miglioramenti “di facciata”, che non cambieranno l’intero regime e di cui la FIFA non può certo prendersi il merito, come ha provato a fare in Qatar in merito alle regole sui lavoratori.
Allo stesso tempo, la reazione di ONG e associazioni occidentali sa quasi di sfruttamento a sua volta: è come se sfruttassero la visibilità del calcio per ribadire delle denunce di condizioni di vita e lavorative che già avvengono a prescindere da qualsiasi evento sportivo ospitato. Non dobbiamo prendercela solo con il Mondiale, ma bisognerebbe ripensare tutto il sistema a partire da quello FIFA, dove c’è sempre meno spazio di discussione per le federazioni nazionali.
Solo sportwashing?
Proprio in questi giorni, il Guardian ha riassunto in immagini i quasi cent’anni di Coppa del Mondo e sportwashing: la pratica con cui gruppi e governi si avvalgono dello sport per recuperare un certo tipo di reputazione.
Nel corso dei decenni, i Mondiali si sono già tenuti in Paesi non propriamente democratici: Russia 2018 e Qatar 2022 pensando nel breve, ma anche Italia 1934 e Argentina 1978, tra epopea fascista e dittatura dei militari.
Parlare soltanto di sportwashing, però, quando pensiamo agli ingenti investimenti sauditi nello sport nell’ambito di Vision 2030, può essere limitante.
Investire nello sport è certamente un’azione di soft power, ma non è detto che porti a una visibilità positiva: ad esempio, la reputazione del Qatar non è certo migliorata dopo la Coppa del mondo del 2022.
Sportwashing è un termine nuovo - utilizzato a partire dai Giochi Europei ospitati da Baku nel 2015 - ma il fenomeno di utilizzare lo sport a livello propagandistico è sempre esistito.
Lo sport è politicamente periferico ma è estremamente visibile, in virtù delle emozioni universali che riesce a suscitare: è stato strumento di fascismi e comunismi, ha accomunato figure come Hitler e Mandela, e dunque dovrebbe essere utilizzato in maniera quantomeno neutra.
Investimenti nello sport
Se apri ora il sito di Vision 2030, la maggiorparte delle immagini presenti riguardano donne e bambini: un immaginario distante dall’Arabia Saudita attuale, ma utile per capire la direzione intrapresa dal Paese del Golfo. La sua visione strategica nello sport va oltre il mero sportwashing:
Gli investimenti sauditi nello sport significano anche ostentazione di potere, investimenti in ottica di diversificare i cardini del Paese dai soli idrocarburi, rendere il Paese più moderno e attrattivo sul piano turistico.
Negli ultimi anni, la lega calcistica saudita - Saudi Pro League - è diventata un forte strumento statale che ha permesso l’arrivo nel campionato di giocatori come Cristiano Ronaldo e Karim Benzema.
Ma c’è anche tanto oltre al calcio: ad esempio, lo scorso ottobre si è tenuto a Riyadh, la capitale, un torneo esibizione di tennis chiamato “6 Kings Slam” e che ha riunito Djokovic, Alcaraz e Sinner, che ha dominato la prima edizione.
I tre macro-obiettivi di Vision 2030 - Ambitious Nation, Thriving Economy e Vibrant Society - hanno accompagnato anche la creazione del circuito di Jeddah, dove corre la Formula Uno dal 2021, ma anche l’organizzazione di Supercoppe nazionali - quelle di Italia e Spagna - o l’apertura del LIV Golf: un nuovo circuito golfistico, alternativo allo storico PGA Tour e dalla cui “guerra civile” l’Arabia Saudita è uscita vincitrice, comprandosi di fatto un intero sport.
Aramco, oggi, sponsorizza anche il cricket: un veicolo per “arrivare” in India. il golf è invece lo sport prediletto di imprenditori e finanzieri. Questi investimenti - così come quelli nel mondo delle arti marziali - sono mirati e soprattutto fonte di successo a breve termine, attraverso il denaro versato.
Nel calcio, invece, per quanto l’atteggiamento saudita dell’ultimo decennio per arrivare alla Coppa del Mondo sia stato magistrale, i tempi sono più lunghi.
Cina, Qatar, Emirati Arabi Uniti
C’è un ultimo punto da sviscerare e che ci permette di guardare ad altri Paesi.
Intanto, la Cina: nel decennio scorso, lo stesso Regime Comunista cinese aveva provato a direzionarsi in maniera decisa verso il mondo del calcio, salvo poi un improvviso ridimensionamento del progetto nel 2018. Quella saudita, tuttavia, sembra una visione basata su interessi molto più vari e solidi.
In questo caso, l’unica similitudine tra Arabia Saudita e Cina può essere il rischio degli autoritarismi: se il regime decide improvvisamente di cambiare direzione, il progetto può sparire da un momento all’altro.
Molto più interessante, invece, è il parallelismo tra l’Arabia Saudita e i suoi vicini di casa: Emirati Arabi Uniti e Qatar.
Già nella puntata sul Qatar avevamo di fatto predetto l’assegnazione di un Mondiale di calcio all’Arabia Saudita: la rivalità con il Qatar - stretto alleato dell’Iran - parte anche dall’influenza militare e geopolitica in quell’area di mondo, e i Mondiali ospitati nel 2022 rappresentano un grosso smacco per l’Arabia Saudita.
Il discorso è simile anche nei confronti degli Emirati Arabi Uniti che, come il Qatar, hanno guardato al calcio come strumento di soft power almeno un decennio in anticipo. In anticipo significa con calma, in maniera più strategica e strutturata.
Per questo ora osserviamo la fretta con cui l’Arabia Saudita si è orientata verso lo sport: storicamente è stato il Paese più “chiuso” della regione, e per recuperare il gap competitivo con i suoi vicini anche sulla scena internazionale deve agire in maniera rapida e attraverso degli ingenti esborsi economici.
L’impressione di un’Arabia Saudita aggressiva e di Emirati Arabi Uniti più solidi e silenziosi si rivede anche in alcuni dei club più famosi al mondo: il Manchester City acquisito dall’Abu Dhabi United Group - società di investimento di UAE - nel 2009 non si riconduce immediatamente alle dittature del Golfo Persico, mentre quest’associazione avviene quando si pensa al Newcastle, acquisito sul finire del 2021 da PIF, fondo sovrano dell’Arabia Saudita e proprietario anche dei maggiori club calcistici sauditi.
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E per finire
La foto più /aesthetically pleasing/ vista di recente:
Alcuni articoli letti in questi giorni:
Le elezioni del presidente della Repubblica in Georgia, su Il Post
La violenza online è una violenza a tutti gli effetti, su Lucy sulla Cultura
la storia del dittatore siriano Bashar al-Assad, su Rivista Studio
la salute mentale in Italia nel 2024, sulla newsletter Stati di salute
La puntata di Mappe da rileggere: se sei arrivato fino a qua, potrebbe interessarti la puntata sulla Slovenia 🇸🇮 e su come Tadej Pogacar ha cambiato il ciclismo.
Il podcast da ascoltare mentre sei in coda: parlando di sport e geopolitica, ti consiglio il podcast di Pallonate in Faccia. In questa puntata si parla proprio degli albori della globalizzazione nel calcio.
Qualche settimana dopo
Una nuova mini-rubrica in cui, dopo un po’ di tempo, facciamo un follow-up su uno dei Paesi e temi trattati nelle precedenti puntate.
Il 2024 si sta chiudendo con delle nuove tensioni militari tra Taipei e Pechino, Cina e Taiwan: sembra che Taiwan 🇹🇼 si sia preparato alla massima allerta, in seguito alle recenti esercitazioni militari cinesi nello Stretto di Taiwan.
C’è una bellissima puntata in cui avevamo parlato di Taiwan e di Isole Matsu, uno dei poli attorno a cui corre la tensione con la Cina.
Parliamo di una delle aree geografiche da monitorare maggiormente nei prossimi anni, in vista di conflitti che ormai non sembrano risparmiare alcun continente. Come scrive Marracash nel suo nuovo disco: È finita la pace.
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Urrà, lo sapevo che non potevi accettare che i paesi terminassero, un giorno 😄