Palestinesi in Giordania
#110 Mappe - Giordania 🇯🇴: la guerra vista dai milioni di palestinesi in Giordania e da tutto il Medio Oriente. Con Lavinia Nocelli.
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Un’intera area geografica in conflitto
Gli interventi occidentali nel corso del Novecento, il ruolo del petrolio, rivalità teologico-religiose tra sciiti e sunniti, la presenza di ISIS e altri estremismi, l’autoritarismo di diversi regimi.
Il Medio Oriente è un enorme teatro di conflitti e tensioni: non c’è una sola causa a spiegarne la genesi - quelli appena elencati sono soltanto alcuni dei principali tratti di tensione - e, soprattutto, tutti i Paesi sono coinvolti in questo scenario.
Se oggi si stanno prendendo le prime pagine Israele, Palestina e Iran, in realtà anche gli altri Paesi dell’area sono indissolubilmente legati a queste rivalità. Pensiamo ad esempio all’Oman - Paese a maggioranza sunnita -, la sede della maggior parte dei negoziati tra Iran e USA in merito al programma nucleare iraniano, poi interrotti dopo l’attacco israeliano su Teheran.
Ma le tensioni fuoriescono anche dall’operato di Israele: esistono, per esempio, tensioni regionali diplomatiche tra Qatar - alleato dell’Iran - e Arabia Saudita che hanno portato i due Paesi a ospitare i Mondiali di calcio - il primo nel 2022, il secondo nel 2034 -.
Soltanto nel decennio scorso abbiamo assistito alla guerra civile in Siria, a quella in Yemen che ha portato al potere gli Houthi - anch’essi alleati dell’Iran e di cui abbiamo parlato in questa puntata -; nel 2006 era stata la volta del Libano, con l’aggressione di Israele verso il gruppo paramilitare sciita Hezbollah.

Rifugiati palestinesi
Nell’introduzione della puntata non è ancora comparsa la Giordania, ma se dobbiamo pensare a un Paese che - più di tutti - è coinvolto indirettamente nello scontro tra Israele e Palestina, allora bisogna sicuramente menzionarla.
In Giordania compaiono 2 milioni di rifugiati palestinesi, e più in generale circa il 60% della popolazione giordana è di origine palestinese. Questo enorme numero di persone sono emigrate e confluite nella monarchia mediorientale a più riprese:
nel 1949, dopo la creazione dello Stato di Israele e la prima guerra arabo-israeliana denominata Nakba, “catastrofe” in arabo;
nel 1967 dopo la “Guerra dei sei giorni” con cui Israele sottrasse - proprio alla Giordania - l’area di Gerusalemme Est e l’intera Cisgiordania;
a più riprese nei decenni successivi, fino ad arrivare ai giorni nostri.
La giornalista e fotografa freelance Lavinia Nocelli si è recata, all’inizio del 2024, proprio in Giordania, per raccogliere le voci dei tanti palestinesi che osservano la guerra a poche centinaia di chilometri di distanza. Il risultato è questo bellissimo reportage pubblicato su Lifegate.
Come mi spiega Lavinia, il suo viaggio nasce da un’esigenza simile a quella che regge anche alcuni degli episodi di Mappe: raccontare come le guerre non coinvolgano solo gli attori in gioco, ma anche popolazioni e aree in prossimità.
Mi sono sempre occupata di migrazioni in chiave europea, ma da quando è scoppiata la guerra tra Israele e Palestina ho sentito l’esigenza di approfondire e documentare anche i Paesi circostanti: volevo andare a fondo nel Medio Oriente e parlare con le migliaia di profughi emigrati da Cisgiordania e gli altri territori palestinesi verso la Giordania.
Ho girato per diversi campi profughi, tentando di raccogliere più voci possibili: molte di queste erano accomunate da un forte e riacceso sentimento per le sorti della Palestina, di fronte alla violenza fuori scala degli attacchi di Israele.

Attore di stabilità
Lo stessa definizione di Cisgiordania - “al di qua del fiume Giordano” - suggerisce come la storia recente della Giordania sia fortemente intrecciata a Palestina, a partire dai suoi confini geografici con Israele e Cisgiordania.
Il regno di Giordania aveva occupato tra il 1948 e il 1967 proprio quella porzione di territorio che - insieme a Gaza - costituisce la Palestina. Dopo averla persa in seguito all’attacco aereo di Israele, nei decenni successivi la Giordania si è caratterizzata per una sorta di equidistanza.

Dall’incoronazione del re Abd Allah II nel 1999, la Giordania è uno degli attori più stabili del Medio Oriente.
Dall’attacco di Hamas del 7 ottobre e i primi bombardamenti di Israele, la Giordania - così come l’Egitto - sta cercando di mantenere una posizione equilibrata: tra una ferma condanna delle azioni israeliane e il tentativo di non mettere a repentaglio l’alleanza con gli Stati Uniti - a dicembre gli USA hanno firmato un aiuto da 7 miliardi in dieci anni per il regno giordano -.
Per la Giordania, punto di migrazione anche di tante altre popolazioni mediorientali, la guerra in corso rischia di creare una pressione migratoria insostenibile per un Paese che ha già assorbito - da decenni - i profughi palestinesi. Come mi spiega Lavinia, il Paese versa già oggi in una situazione non facile:
Oggi in Giordania si trovano una decina di campi profughi palestinesi, ufficiali e non.
L’integrazione non è avvenuta pienamente: chi vive in città e non nei campi dei rifugiati spesso riesce a lavorare nel contesto urbano. Nei campi profughi come quello di Al-Wedhat, nella capitale Amman, le scuole sono all’interno del campo e non tutti lavorano fuori da esso.
Nei campi si trovano persone nate in Cisgiordania o Palestina e poi arrivate in Giordania, ma anche generazioni più recenti che sono nate già nei campi profughi e che magari - pur conservando lo spirito palestinese - non sono mai state in Palestina. Anche diversi giordani vivono all’interno nei campi, per una diffusa mancanza di disponibilità economiche.
Oggi la capitale Amman è decisamente cara: anche per gli stranieri in visita, non solo per chi ci vive.

Dalla fine degli anni Ottanta sotto il re Husayn I, la Giordania ha progressivamente smesso di fornire la cittadinanza ai profughi palestinesi che entravano nel Paese: non è una decisione politica, ma più di sicurezza e pressione demografica. Non a caso, dopo il 7 ottobre 2023 sia la Giordania che l’Egitto hanno deciso di non accogliere altri rifugiati palestinesi.
Proteste ad Amman
Aver percorso la Giordania e la sua capitale Amman all’inizio del 2024 significa aver visto un ravvivato sentimento di attaccamento alla Palestina, pochi mesi dopo i primi bombardamenti israeliani.
Secondo i dati di OCHA - United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs - le azioni israeliani hanno causato oltre 50.000 morti a Gaza nel giro di un anno e mezzo di conflitto.
Il sentimento di appartenenza al popolo palestinese l’ho visto anche attraverso persone che non erano mai state in Palestina. In quel periodo, ogni venerdì ad Amman si tenevano delle manifestazioni pacifiche in solidarietà con i palestinesi di Gaza, cui seguivano anche decine di arresti.

La dimostrazione di come la questione palestinese riguardi l’intero Medio Oriente si è vista anche attraverso questa serie di manifestazioni che si sono tenute in diverse capitali mediorientali. Nel corso dei decenni, i fenomeni di migrazione dalla Palestina hanno interessato la Giordania ma anche il resto dell’area, che è interamente coinvolta nelle sorti del popolo palestinese.
Le manifestazioni di vicinanza si sono viste, nell’ultimo anno, su tutti i fronti arabi: a San’a - capitale di uno Yemen opposto a USA e Israele attraverso la presenza degli Houthi - così come nei Paesi del Golfo - decisamente più equidistanti e vicini alle potenze occidentali -, la questione palestinese è di tutto il Medio Oriente.
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La foto più /aesthetically pleasing/ vista di recente: a riprova che la realtà supera la fantasia, una delegazione della Juventus nello Studio Ovale, mentre Donald Trump parla di diritti civili e possibili attacchi in Iran. Una magra figura per lo sport.

Le puntate di Mappe da rileggere: il reportage inedito su quattro giorni trascorsi in Corea del Nord 🇰🇵.
Alcuni articoli letti in questi giorni:
L’intervista a Wu Ming 1 sull’editoria italiana, su Lucy sulla Cultura
Il giornalismo nell’era della censura digitale, nella newsletter The World We Live In
La storia e l’avanzamento del programma nucleare iraniano, su Il Post
Le nostre reazioni alle bombe su Tel Aviv, ne scrive Alessandro Sahebi
Il podcast da ascoltare mentre sei in coda: l’ultima puntata di Globo, con Eugenio Cau e Cecilia Sala che parlano della guerra tra Israele e Iran.
Qualche settimana dopo
Una nuova mini-rubrica in cui, dopo un po’ di tempo, facciamo un follow-up su uno dei Paesi e temi trattati nelle precedenti puntate.
In questi giorni, si parla giustamente di Iran 🇮🇷.
Per parlare del suo programma nucleare, è necessario partire dalle prime scoperte in campo atomico e dal progetto Manhattan: un programma degli Stati Uniti che coinvolse i fisici Enrico Fermi e J. Robert Oppenheimer nello sviluppo della bomba atomica.
Ne avevamo parlato proprio nella puntata sull’Iran insieme a Lorenzo Baravalle:

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