Tutti in Australia
#111 Mappe - Tuvalu 🇹🇻: un terzo degli abitanti dell'arcipelago polinesiano ha chiesto di trasferirsi in Australia, per il riscaldamento climatico.
Ciao, buon lunedì!
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E poi il silenzio - Il disastro di Rigopiano è il podcast con cui Pablo Trincia ricorda e racconta la valanga di neve che travolse l’hotel abruzzese.
La serie podcast era stata pubblicata a ottobre, e se non ricordo male avevo sentito proprio l’autore parlare dello stretto legame tra una storia che viene raccontata e l’ambiente che ci circonda nel momento in cui la ascoltiamo. Il podcast poteva uscire d’estate, ma il silenzio della neve che cadeva sulle montagne abruzzesi non avrebbe avuto lo stesso richiamo, la medesima incisività.
Mi sono ricordato di questo episodio nell’approcciarmi a questa puntata, di cui mi sembra particolarmente calzante scrivere ora: a estate appena inaugurata, in questo episodio è il mare a essere protagonista, seppur non nella maniera con cui molti di noi lo stanno invocando.
Ingiustizia climatica
Qualche mese fa scrissi un pezzo sulla newsletter A Fuoco, un progetto di Facta News. Parla di ingiustizia climatica, ovvero degli spropositati costi climatici che oggi subiscono i Paesi del terzo mondo e del Sud globale, nonostante siano stati principalmente creati da Occidente, Cina e India.
Il grido di allarme che è risuonato più forte nelle ultime COP - le Conferenze delle Parti sul clima - arriva soprattutto dai piccoli Paesi che sono attorniati dal mare, in costante crescita.
Nel 2021, ad esempio, il ministro per la Giustizia, le Comunicazioni e gli Affari Esteri di Tuvalu Simon Kofe aveva inviato agli altri partecipanti della COP un video registrato in cui si trova immerso a metà nell’oceano che attornia Tuvalu, arcipelago polinesiano composto da nove atolli, per sensibilizzare il tema.
Tuvalu, insieme ai tanti Paesi del Sud globale affacciati sul mare e soggetti al vertiginoso innalzamento del livello degli oceani, ha un impatto irrisorio sul totale delle emissioni di CO2 globali e sull’aumento delle temperature. Il 52% delle emissioni di CO2 viene prodotto soltanto da tre attori: Cina, India e USA.
Da Tuvalu all’Australia
Tuvalu è attorniato da tanti altri arcipelaghi dell’Oceano Pacifico - Kiribati, Samoa, Isole Figi, Isole Salomone - che sono accomunati dal medesimo problema: negli ultimi trent’anni, la velocità con cui il livello dei mari si alza è raddoppiata. Da 2.1 millimetri all’anno a 4.5 millimetri, riporta la NASA.
Gli atolli di Tuvalu non superano i 4 metri sopra il livello del mare e a Funafuti, capitale e uno degli atolli che compongono il Paese, negli ultimi trentadue anni il livello del mare si è innalzato di 14 centimetri. Sempre lo studio NASA stima che nei prossimi trent’anni i centimetri saranno 19.
Da queste premesse arriva una delle notizie che più mi hanno colpito degli ultimi giorni: il The Japan Times riporta che circa un terzo degli abitanti di Tuvalu - in totale sono poco più di 10.000 - si è iscritto a un sorteggio per ottenere uno speciale “asilo climatico” e trasferirsi in Australia.
I primi 280 visti annuali concessi dall’Australia fanno parte di un più ampio piano di collaborazione stretto con il vicino polinesiano: da anni, infatti, si parla di una futura e vicina scomparsa di Tuvalu, con il 95% dell’arcipelago che potrebbe essere ciclicamente sommerso dalle maree.
La registrazione della domanda è costata agli abitanti di Tuvalu soltanto 16 dollari australiani: è questa la cifra che vale, in questo momento, la futura perdita di un’isola che costituisce anche un insieme di valori e tradizioni locali. Tuvalu è un insieme di isole abitato da migliaia di anni, e che soltanto nel 1892 è finito sotto il protettorato britannico.
Fino a pochi anni fa, il concetto di “migrante climatico” era pubblicamente sbeffeggiato da esponenti politici: sembrava un concetto lontano ed esageratamente allarmista. Oggi diventa realtà con Tuvalu, di cui già il 9% delle migrazioni avvenute tra 2005 e 2015 è stata dettata dalle condizioni ambientali.

Punti di contatto
L’emergenza climatica è uno dei grandi cavalli di battaglia della newsletter: ciò che accade a Tuvalu è stato raccontato anche attraverso ciò che succede a Bahamas, nelle Isole Filippine, nelle Isole Marshall.
Non è l’unico punto di contatto tra Tuvalu e altri Paesi del mondo: Tuvalu, infatti, è anche uno dei dodici Paesi - così come Nauru - a riconoscere l’esistenza di Taiwan come entità indipendente dalla Cina e intrattenere delle relazioni diplomatiche con Taipei.
È un fattore da attenzionare, soprattutto in un momento storico in cui l’Australia è così vicina a Tuvalu: non solo per le sorti climatiche, ma anche in materia di politica estera. All’interno degli accordi sul clima, sembra che l’Australia abbia un potere di veto su qualsiasi accordo in materia di difesa che Tuvalu voglia stipulare con altri Paesi.
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E per finire
La foto più /aesthetically pleasing/ vista di recente: dopo le minacce di ripercussioni da parte del primo ministro ungherese Viktor Orbàn, la risposta del Pride a Budapest è stata… questa. Vi hanno partecipato circa 200.000 persone.

Le puntate di Mappe da rileggere per capire meglio il Medio-Oriente:
Lo Yemen 🇾🇪 e il ruolo degli Houthi contro Israele e USA
L’Iran 🇮🇷 e l’arsenale nucleare, attraverso la storia della bomba atomica
Il Libano 🇱🇧 e il rapporto tra Hezbollah e l’Iran
La Giordania 🇯🇴 e i milioni di rifugiati palestinesi
Alcuni articoli letti in questi giorni:
Come capire se sei uno snob, su Lucy sulla Cultura
L’Italia è già dentro la guerra, senza dichiararla, su Domani
Cosa cambia davvero tra calcio maschile e femminile, su L’Ultimo Uomo
Le cifre delle spese militari concordato dalla NATO, su Il Post
Il podcast da ascoltare mentre sei in coda: questa puntata di Wilson, il nuovo podcast di Francesco Costa, sull’Iran e sul decisivo ruolo delle elezioni.
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Qualche settimana dopo
Una nuova mini-rubrica in cui, dopo un po’ di tempo, facciamo un follow-up su uno dei Paesi e temi trattati nelle precedenti puntate.
Il fallimento del ‘modello Albania’ per una gestione più efficiente e decentralizzata dei migranti è ormai conclamato.
Non è un caso che da qualche settimana il governo abbia progressivamente spento i riflettori sul ruolo di Shengjin e Gjader, le due località albanesi dove sono stati costruiti i centri di accoglienza.
Negli ultimi giorni, è passata sotto traccia un’altra notizia in tal senso: come scrive Eleonora Camilli su La Stampa, il governo ha inaugurato i primi rimpatri dei migranti direttamente dall’Albania, senza passare dall’Italia: l’ennesima operazione fallimentare, con possibili risvolti giuridici.
L’intero accordo Italia-Albania è stata l’occasione per ripercorrere, su Mappe, la nascita dello stretto rapporto tra Albania 🇦🇱 e Italia.

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